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Naia, l’antenata di tutti gli americani

Lo scheletro di una fanciulla vissuta circa 13.000 anni fa è stato rinvenuto in una grotta sommersa della penisola dello Yucatan; ed ha molto da raccontare.
A cura di Nadia Vitali
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(AP Photo/National Geographic, Paul Nicklen)
(AP Photo/National Geographic, Paul Nicklen)

Nel maggio del 2007 Alberto Nava, sommozzatore americano, era intento ad esplorare una grotta subacquea nella penisola messicana dello Yucatan in compagnia di due colleghi; dopo aver nuotato per diverse centinaia di metri attraverso un tunnel angusto, i tre si sono ritrovati in una vasta camera oscura. Comincia così il racconto, riportato in un articolo pubblicato da Science il 16 maggio, di un ritrovamento avvenuto per caso e che potrebbe avere importanti implicazioni nella conoscenza della storia dell'umanità.

Circa due mesi dopo, gli esploratori fanno ritorno ad Hoyo Negro, buco nero (così era stato ribattezzato il sito appena scoperto) muniti, questa volta, di luci più potenti per potersi scrutare attorno: si rendono conto, così, di trovarsi in una sorta di ampio anfiteatro naturale dal diametro di circa sessanta metri, con un pavimento cosparso di sassi. Tra quelle rocce, le ossa di grandi mammiferi e, tra queste, spiccava un cranio evidentemente umano, con tanto di denti perfettamente conservati: si trattava dei resti di Naia, giovane antenata di tutti i nativi americani.

I sommozzatori illuminano Hoyo Negro (AP Photo/Roberto Chavez Arce via Science)
I sommozzatori illuminano Hoyo Negro (AP Photo/Roberto Chavez Arce via Science)

Morte accidentale di una antica americana

Archeologi, genetisti, antropologi: il cranio, unitamente alle ossa che giacevano poco distanti da esso, è stato oggetto di studi lunghi ed accurati che hanno consentito di stabilire che apparteneva ad una fanciulla vissuta circa 13.000 anni fa. La giovane, che è stata battezzata Naia in onore delle ninfe delle acque dolci della mitologia greca, presentava tutte le caratteristiche facciali ricorrenti tra gli antichi abitanti delle Americhe, almeno per quanto ci è dato conoscere attraverso i reperti di cui siamo in possesso: un volto allungato ed una fronte ben pronunciata. Nel momento in cui è morta doveva avere non più di 15 o 16 anni: in effetti il suo decesso sembrerebbe essere avvenuto proprio per cause accidentali, a giudicare dalle informazioni che è stato possibile ottenere attraverso gli esami ossei.

L'ipotesi che sembra più probabile ai ricercatori è che la fanciulla stesse cercando dell'acqua in quella regione che, all'epoca, doveva avere un clima estremamente secco: caduta, magari inciampando, in una pozza poco profonda, sarebbe poi scivolata nei passaggi che conducono fino alla cava, allora non ancora sommersa dalle acque; forse morì all'istante, come testimonierebbe anche la frattura all'osso pelvico, condividendo il proprio drammatico destino con quello di molti animali che finirono nel medesimo "buco nero". Ma chi era Naia? E cosa ci faceva in quel remoto angolo di Messico, circa 13.000 anni fa?

Susan Bird, una dei sommozzatori, al lavoro con il cranio di Naia (AP Photo/National Geographic, Paul Nicklen)
Susan Bird, una dei sommozzatori, al lavoro con il cranio di Naia (AP Photo/National Geographic, Paul Nicklen)

Una "madre" per i nativi americani

Gli scienziati sostengono che il DNA mitocondriale di Naia, l'unico al momento che è stato possibile analizzare, rafforzerebbe l'ipotesi di un antenato comune tra i primi abitanti del continente e i moderni nativi americani. Secondo tale teoria, gli uomini provenienti dalla Siberia (e in particolare dall'area dei monti Altaj) sfruttarono il ponte naturale di terre emerse che sorgeva laddove oggi c'è il mare dello stretto di Bering, all'incirca 20.000 anni fa, prima che il livello delle acque salisse, cancellando per sempre il passaggio. Queste genti si mossero poi in direzione meridionale, giungendo lentamente a colonizzare entrambe le Americhe. Senza dubbio, i moderni nativi conservano l'eredità di questo lungo viaggio all'interno del proprio patrimonio genetico: eppure le peculiarità facciali, così differenti da quelle ricorrenti negli scheletri più antichi dei primi americani, hanno spesso lasciato ipotizzare che, forse, furono diverse le ondate migratorie giunte dalla Siberia o, magari, addirittura da altre zone dell'Europa.

Il ritrovamento di Naia lascerebbe pensare, invece, che i moderni nativi condividano gran parte del proprio genoma con i più antichi americani: le analisi di laboratorio condotte grazie ai campioni ossei e ad alcuni denti, infatti, hanno evidenziato un aplogruppo (raggruppamenti di mutazioni che fanno da marcatori) nel DNA mitocondriale della giovane che la legherebbe strettamente ai moderni nativi. Insomma Naia potrebbe essere considerata, a buon diritto, una sorta di antenata di tutti gli americani.

Le pareti della cava, un tempo non sommersa dalle acque (AP Photo/National Geographic, Paul Nicklen)
Le pareti della cava, un tempo non sommersa dalle acque (AP Photo/National Geographic, Paul Nicklen)

Un legame genetico

Il fortuito e fortunato ritrovamento dello scheletro di Naia, la sventurata fanciulla che perì in un incidente, potrebbe aver aiutato a chiarire definitivamente un aspetto controverso riguardante le migrazioni che portarono alcuni gruppi umani a stabilirsi nel continente oltreoceano: paleo-americani e moderni nativi, infatti, condividerebbero la medesima terra natia, ossia la Beringia e non sarebbero il frutto di diverse ondate. Le evidenti differenze somatiche tra gli individui, che tanto hanno fatto interrogare gli scienziati, andrebbero quindi spiegate secondo una naturale evoluzione seguita al momento in cui la gente della Beringia separò il proprio genoma da quello del resto del mondo: circa 13.000 anni fa, millennio più o millennio meno, mentre Naia cadeva in quel lungo "buco nero" dove avrebbe trovato l'eternità.

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