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Lonesome George non era solo: le “parenti” della specie estinta

L’ultimo esemplare di tartaruga dell’isola Pinta era scomparso quest’estate senza lasciare eredi, ma il suo patrimonio genetico è custodito in altre specie ibride.
A cura di Nadia Vitali
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lonesome george non era solo

Quando Lonesome George morì la scorsa estate senza lasciare eredi, la specie delle tartarughe dell'isola Pinta (nome scientifico, Chelonoidis abingdoni) si estinse assieme ad esso. Simbolo non solo delle Galapagos ma anche di una natura fortemente bisognosa di tutela e salvaguardia, Lonesome George si è spento a circa cento anni (un'età relativamente giovane rispetto alla media delle altre tartarughe delle Galapagos che raggiungono i due secoli di vita) perdendo la battaglia per la sopravvivenza della propria specie: immediatamente entrato a far parte del programma di riproduzione del Galapagos National Park, fin da quando nel 1972 ne divenne ospite, non riuscì a riprodursi, nonostante i tentativi di farlo accoppiare con femmine appartenenti a sottospecie geneticamente molto vicine alla sua.

Eppure, sorprendentemente, pare che Lonesome George avesse dei discendenti: uno studio pubblicato da Biological Conservation e curato dai ricercatori della Yale University ha infatti scovato i parenti stretti della tartaruga dell'isola Pinta attraverso l'analisi ed il confronto di campioni di DNA prelevati da circa 1600 tartarughe giganti. Nell'area nord dell'isola di Isabella, la più grande delle Galapagos, sono stati identificati diciassette esemplari ibridi il cui patrimonio genetico rivelerebbe un antenato appartenente alla specie Chelonoidis abingdoni: cinque tra questi, oltretutto, sarebbero di età molto giovane, dato che lascia viva la speranza dei biologi che esistano ancora degli individui di razza pura, magari nei pressi del Vulcano Wolf, punto più alto dell'isola e zona ancora fortemente incontaminata e, per molti versi, sconosciuta.

L'area in cui sono stati individuati i "parenti" di Lonesome George si trova a ben 37 miglia di distanza da Pinta Island, l'isola di cui è originaria la Chelonoidis abingdoni: i ricercatori non attribuiscono il dato alle correnti oceaniche che avrebbero potuto trasportare le tartarughe presso Isabella. Molto più probabilmente, nel XIX secolo, quando i marinai facevano razzie di questi animali per nutrirsene fino a portarli sull'orlo dell'estinzione, alcuni esemplari vennero prelevati da altre isole e successivamente abbandonati lì, verosimilmente perché i naviganti non avevano più bisogno, in quel momento, di carne fresca. L'accoppiamento con le specie indigene avrebbe dato vita agli individui ibridi nel cui DNA è tracciabile l'ascendenza "straniera": non è la prima volta che analisi  rivelano spostamenti di questo tipo tra le Galapagos, la specie originaria dell'isola Floreana subì il medesimo destino, esiliata per sempre dal suo areale d'origine.

«Il nostro obiettivo è quello di tornare questa primavera per cercare gli individui sopravvissuti di questa specie e raccogliere gli ibridi. Noi ci auguriamo che, con un programma di allevamento selettivo, potremo reintrodurre queste specie di tartarughe nella loro casa natale» ha spiegato Adalgisa “Gisella” Caccone, senior research scientist del dipartimento di ecologia e biologia evolutiva: un programma che riguarderà non soltanto la specie dell'isola Pinta, ma anche quella dell'isola Floreana. «Queste tartarughe giganti sono di cruciale importanza per gli ecosistemi delle isole Galapagos, e la reintroduzione di queste specie contribuirà a preservare la loro eredità evolutiva» ha concluso Danielle Edwards, principale autore dello studio. L'importante è non dimenticare di affiancare a questo lavoro, quello di tutela delle specie ancora esistenti, miracolosamente scampate alla stupidità e alla violenza dell'uomo, che distrusse le loro "cugine" nei decenni scorsi.

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