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LHC, l’acceleratore della fine del mondo?

Ancora una volta i giudici danno torto a un ricorso contro l’acceleratore di particelle del Cern di Ginevra, che secondo alcuni potrebbe distruggere il mondo.
A cura di Roberto Paura
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LHC

È entrato in funzione quasi tre anni fa, ed è in poco tempo riuscito a portare a termine il suo primo obiettivo per cui era stato costruito: trovare il bosone di Higgs. Parliamo di LHC, il Large Hadron Collider che corre sotto la città di Ginevra, il più grande acceleratore di particelle del mondo. Ma nonostante i suoi clamorosi successi, destinati a far ancora più notizia quando, alla fine del prossimo anno, LHC raggiungerà la massima energia prevista, non mancano le critiche. Non solo quelle, più prosaiche, riguardanti i soldi spesi per i costosi esperimenti di fisica delle particelle; ma anche quelle, assai più colorite, di chi punta il dito contro il Cern, reo di mettere a rischio l’incolumità del mondo intero attraverso gli esperimenti di LHC. Cause giudiziarie per far chiudere la grande macchina sono state sollevate già negli scorsi anni, con esisti sfavorevoli per coloro che avevano fatto ricorso. E' di qualche giorno fa l’ennesimo rigetto di un ricorso di una cittadina tedesca, che aveva già fatto appello ad altri tribunali chiedendo lo spegnimento dell’acceleratore. Ma quali sono le tesi portate avanti da queste persone? Perché LHC potrebbe, a loro dire, provocare la fine del mondo? E perché gli scienziati sono convinti del contrario?

Buchi neri e particelle killer

buco_nero

Secondo lo scrittore di fantascienza americano Steve Alten, di cui in Italia è stato pubblicato l’assai controverso 2012. La fine del mondo (Newton Compton), i terremoti recenti che hanno colpito Haiti, Cina, Giappone e Turchia sarebbero connessi con l’acceleratore di particelle. All’interno di LHC verrebbero infatti creati micro buchi neri e particelle note come “strangelet”, capaci di perforare la superficie terrestre producendo scosse sismiche. Tesi, questa, che Alten sostiene confermata da diversi fisici con cui avrebbe avuto modo di parlare. Ovviamente senza fare nomi. L’ipotesi, in linea di principio, non è proprio fantasiosa. È semplicemente ingigantita. I fisici hanno sempre parlato con molta chiarezza della possibilità che LHC possa produrre dei micro buchi neri. La loro comparsa potrebbe essere anzi una prima prova a favore della teoria delle stringhe, per cui esistono almeno altre sette dimensioni spaziali oltre alle tre a noi note, e la gravità sarebbe l’unica a distribuirsi su tutte le dieci dimensioni spaziali risultanti. Però, questi micro buchi neri evaporerebbero in un istante, senza nessuna possibilità di risucchiare materia, ingrandendosi come i normali buchi neri. Ciò perché creati in maniera del tutto diversa dai tradizionali buchi neri, che sono il prodotto del collasso di stelle con massa molto superiore a quella del Sole. Se esistessero in natura, potrebbero anche riuscire a perforare la Terra; ma sarebbero così piccoli che i fori prodotti risulterebbero invisibili e gli eventuali terremoti causati sarebbero difficilmente registrabili persino dai sismografi.

E gli “strangelet”? Queste ipotetiche particelle di “materia strana” sono state previste dalla teoria, ma non confermate dalle osservazioni. Nascerebbero da una ricombinazione dei quark una volta scissi all’interno degli acceleratori e in linea teorica potrebbero, qualora entrassero in contatto con particelle di materia ordinaria, avviare un effetto domino ricombinante tale per cui nel giro di poche ore tutta la massa della Terra si trasformerebbe in unico blocco di materia strana, annientando qualsiasi forma di vita. Questa sì che sarebbe la fine del mondo! Per fortuna, si tratta di un’ipotesi considerata fantascientifica dalla maggior parte degli scienziati. Se anche tali particelle potessero formarsi, nel vuoto spinto degli acceleratori non avrebbero alcuna possibilità di interagire con atomi di materia ordinaria. Svanirebbero cioè in pochi istanti. A ogni modo, la possibilità che LHC produca simili particelle è considerata inferiore a quella di vincere per 10 volte di seguito la lotteria.

Il principio di precauzione

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Senza dubbio LHC è capace di raggiungere, al suo interno, livelli di energia che in natura sono raramente osservabili. Addirittura, forse, livelli di energia mai toccati dopo i primi secondi dal Big Bang. Ma questo non vuol dire che si stia giocando con il fuoco. Nel corso dei tanti anni che sono stati necessari per portare a termine la costruzione dell’acceleratore, i migliori scienziati di tutto il mondo hanno lavorato duro per garantire l’assoluta sicurezza degli esperimenti che sarebbero stati realizzati al suo interno. Il principio di precauzione è stato e resta al centro delle preoccupazioni della comunità scientifica riguardo LHC. Ci sono alcuni scienziati che sostengono ci si debba andare ancora più cauti, perché esperimenti di questa portata possono produrre fenomeni sconosciuti. È vero. Ma in questo caso ci si basa sull’osservazione della natura. L’universo è enorme ed esiste da 13,7 miliardi di anni. Al suo interno, in tutto questo lunghissimo periodo, sono avvenuti e avvengono fenomeni estremamente violenti. Eppure, nessuno di questi ha distrutto il nostro pianeta. Si ritiene pertanto che la fisica di LHC non possa produrre nulla di diverso da quanto sia già stato prodotto in natura nel corso della lunga della storia dell’universo, e quindi nulla capace di provocare la fine del mondo.

Comunque, LHC non è certo il primo acceleratore a scatenare paure apocalittiche. Anche il Brookhaven Collider americano, quando entrò in funzione alla fine del secolo scorso (proprio all’approssimarsi della data fatidica del 2000) favorì l’emergere di numerose storie sulla possibile fine del mondo che avrebbe potuto scatenare; alcuni fantasiosi complottisti sostennero addirittura che fu un mini buco nero prodotto al suo interno a colpire l’aereo su cui viaggiava John F. Kennedy jr! E la stessa cosa avvenne quando entrò in funzione il Tevatron al Fermilab di Chicago. La paura che esperimenti estremi possano sfuggire di mano è sempre molto alta nel grande pubblico, ma gli scienziati non sono certo dei pazzi che giocano col fuoco. Basti ricordare che, alla vigilia del primo test atomico, i fisici di Los Alamos vollero assicurarsi con uno studio rigorosissimo che l’esplosione nucleare non provocasse l’incendio dell’atmosfera terrestre con conseguente scomparsa della naturale protezione dal bombardamento di raggi cosmici; un avvenimento che, qualora fosse accaduto, avrebbe davvero estinto buona parte delle specie viventi sulla Terra, uomo in primis. Ma i calcoli confermarono che, per quanto violenta fosse stata l’esplosione, l’atmosfera non avrebbe corso pericolo. E sebbene le bombe atomiche non siano proprio il tipo di prodotto della ricerca fisica che ci piace citare, l’esempio dimostra che il “dottor Stranamore” che gioca alla fine del mondo non è una figura comune nel mondo della scienza.

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