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Le tracce delle bugie che restano nel nostro cervello

Uno studio italiano ha “fotografato” le aree cerebrali che si attivano quando mentiamo.
A cura di Nadia Vitali
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La macchina della verità, è cosa nota, si avvale di determinati parametri per stabilire se il soggetto sottoposto ad esame sta cercando di ingannare il prossimo: misurando le variazioni della pressione sanguigna, del battito cardiaco, della respirazione e verificando l'attività legata alla sudorazione, il dispositivo dovrebbe riuscire ad interpretare la volontà del soggetto di mentire o la sua buona fede. In verità, le risposte che è in grado di dare il poligrafo non sono considerate talmente valide da costituire verità incontrovertibile tant'è che, nei Paesi in cui la macchina viene impiegata nell'ambito di indagini e processi, sorgono sovente divergenze con gli organi scientifici che hanno spesso evidenziato la scarsa attendibilità dei suoi risultati; senza contare che in molti Stati, membri UE compresi, la prova del poligrafo non viene ritenuta attendibile e non è dunque sfruttabile quando si voglia applicare la legge.

Ma cosa accadrebbe se un nuovo dispositivo fosse in grado di leggere le vere risposte nascoste all'interno della inviolabilità del nostro cervello? Al momento non è ancora possibile immaginare uno scenario tanto futurista anche se un recente studio condotto da Alice Proverbio, Maria Elide Vanutelli e Roberta Adorni del dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, e reso pubblico in un articolo della rivista americana PLOS ONE, sembrerebbe guardare proprio in questa direzione, cercando di scoprire i bugiardi attraverso le «impronte digitali della menzogna». Le ricercatrici hanno infatti osservato come alcune specifiche aree del cervello particolarmente attive quando si mente possano essere rilevate attraverso l'imaging neurale: in particolare, la regione frontale e pre-frontale dell'emisfero sinistro e la corteccia cingolata anteriore sono quelle zone che risponderebbero con una maggiore attività elettrica nel momento in cui l'individuo "sotto esame" starebbe cercando di ingannare il proprio interlocutore. Tale impulso bioelettrico, chiamato N400, sarebbe agli occhi delle studiose semplicemente «inconfondibile» e costituirebbe lo sforzo del cervello di sopprimere l'informazione consapevolmente riconosciuta come vera al fine di lasciare lo spazio alla bugia sostitutiva.

Dallo studio sarebbe inoltre emerso che la reazione emotiva dei mentitori e di coloro i quali provano ansia perché ingiustamente accusati di qualcosa, o a causa di domande che causano stress, sarebbe molto simile: il che, ancora una volta, evidenzierebbe come la funzionalità della macchina della verità andrebbe messa adeguatamente in discussione, laddove viene utilizzata come strumento utile ai fini processuali. L'«uso sprovveduto di indicatori fisiologici non cerebrali», insomma, andrebbe accuratamente valutato poiché una risposta periferica come può essere la sudorazione o il battito cardiaco sarebbe assai meno affidabile delle variazioni bioelettriche conseguenti all'attività cerebrale. Un metodo basato sulla osservazione e la registrazione dell'attività elettromagnetica è in grado di rilevare e misurare anche «l'effetto cerebrale delle emozioni provate durante un interrogatorio»: un elemento molto distante dai parametri di funzionamento meno raffinati della macchina della verità.

Tali incoraggianti risultati potrebbero portare anche ad applicazioni in ambiti più marcatamente pratici? Senza dubbio è decisamente troppo presto per stabilirlo: lo studio, infatti, è stato condotto su un campione composto da appena 25 studenti universitari, 12 maschi e 13 femmine. Ai volontari sono state sottoposte 296 domande bilanciate per argomento e tipo di informazione, comprendendo anche dati, fatti e comportamenti personali noti a ciascun partecipante: durante la sessione, i giovani hanno indossato particolari cuffie provviste di 128 rivelatori che registravano l’attività elettrica del cervello. Tra le domande non ne mancano di imbarazzanti o riguardanti temi delicati, con l'obiettivo di simulare la situazione-tipo dell'interrogatorio dove i livelli di stress possono essere piuttosto alti; per ogni risposta era stata precedentemente impartita una specifica istruzione di mentire o dire la verità. Alla fine, spiegano le ricercatrici, «è stato sempre possibile individuare i bugiardi»: proprio come nel miglior film fantascientifico che si rispetti, la macchina ha letto la menzogna nel cervello dell'interrogato.

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