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Le mummie dell'Appennino

Ritrovati centinaia di cadaveri naturalmente mummificati nella cripta della Chiesa di Roccapelago, sull’Appennino modenese, in seguito a lavori di restauro.
A cura di Nadia Vitali
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Hanno riposato serenamente di certo per quattro secoli e forse anche di più, nascosti appena dal pavimento di una Chiesa, in una cripta che ne ha involontariamente preservato le fattezze: abiti, oggetti, piccoli monili, ma anche brandelli di pelle e capelli, assieme a piccoli animali, quali roditori e vermi, che di quei corpi si sono cibati e accanto ad essi sono morti presumibilmente a causa dei miasmi dovuti al processo di decomposizione, finendo anch'essi mummificati all'interno di quella che, agli occhi degli archeologi che l'hanno per primi scoperta, è apparsa come una vera e propria piramide di resti umani.

Si parla di circa trecento mummie, un gruppo eterogeneo di individui quanto meno per le differenti età: uomini e donne anziani, ma anche giovani, bambini e nati prematuri, che vissero con tutta probabilità a Roccapelago sull’Appennino modenese tra il XVI ed il XVIII secolo quando, a quanto pare, la cripta venne definitivamente chiusa. Non il sepolcro rappresentativo di una élite o di un ristretto gruppo sociale come spesso accadeva in passato con gli ecclesiastici o con i membri delle famiglie illustri, bensì la tomba di gente comune che spese la propria esistenza in questo piccolo borgo: lì collocati si sono conservati in alcuni casi quasi intatti, grazie alle condizioni climatiche dell’ambiente, poco umido e molto ben areato da due feritoie.

Queste persone abbigliate in maniera semplice e sobria, i tessuti rinvenuti sono tutti tela, cotone e lana grezza e solo qualche merletto, sono coloro che abitarono il paesino di montagna di Roccapelago, frazione di Pievepelago, che lo resero vivo in un tempo lontano dal nostro: le loro esistenze sono rimaste per sempre sigillate dal suolo della Chiesa della Conversione di San Paolo Apostolo ed ora sarà compito di archeologi ed antropologi scoprire i dettagli significativi di queste. Ad essi si affiancheranno studiosi di altre discipline per indagare scientificamente su questa vera e propria miniera di informazioni sulle abitudini dei nostri antenati di un tempo: sarà allora importante scoprire l’età media dei decessi, la diffusione della mortalità infantile, le patologie di cui soffrivano, come si divideva il duro lavoro di montagna tra uomini e donne, di cosa ci si nutriva, quanto erano alti o robusti, le eventuali malattie congenite e se c’era una tendenza endogamica spiccata, come spesso accadeva  per le piccole comunità, dove ci si sposa tra parenti ed anche tra consanguinei. Si cercheranno confronti con la popolazione attuale del borgo cercando di rintracciare eventuali trasmissioni cromosomiche e ricostruendo, grazie all’ausilio della tecnologia, i volti che ebbero quegli scheletri.

Per adesso di una cosa certamente non si può dubitare: la religiosità era, naturalmente, un elemento molto forte e sentito, come è attestato dalla permanenza di fedi nuziali, rosari, collane con crocifissi e medagliette sacre e dall'uso di fasciare la testa onde evitare lo spalancamento delle fauci: forma di pietas che coloro i quali erano in vita vollero tributare ai loro cari che furono calati in quella fosse comune. Di grande fascino il ritrovamento di una lettera componenda, una sorta di contratto con Dio in cui si chiede protezione e la concessione di grazie in cambio di preghiere: essa è stata appoggiata sopra il defunto giacché è stata ritrovata setacciando la terra che ricopriva il suolo della cripta.

La Chiesa di Roccapelago sorge su uno sperone roccioso che gode di una posizione elevata e relativamente isolata, ha una sola via d'accesso: per questo motivo a partire dal 1370 fu sede della fortezza di Obizzo da Montegarullo, potente signore della zona. Fu a partire dal 1500 che il piano più alto della rocca militare, ormai in disuso, venne riutilizzato come Chiesa parrocchiale. Un ambiente voltato interrato, in cui in origine stavano i cannoni, venne utilizzato come cripta cimiteriale e, quindi, come fossa comune fino a quando si decise di sigillarla. Vista l'importanza dell'edificio, nel 2008 una campagna di restauro è iniziata per consolidare tutte le strutture e per rimediare ad interventi piuttosto infelici che, durante il secolo scorso, ne avevano modificato l'immagine. A partire dal 2009 sono state individuate le sepolture più antiche, durante il 2010-2011 si è giunti a ritrovare lo stupefacente numero di corpi accatastati fin nei più piccoli anfratti, onde sfruttare ogni angolo disponibile: pochi centimetri di terra, 3 o 4, separavano il primo strato dal secondo, quando si iniziarono a calare i corpi da una botola che corrisponde al punto più alto della piramide di resti. Quando tutto l'ambiente venne riempito di pietrisco e grossi massi per chiuderlo, nessuno avrebbe immaginato che in un giorno lontano quei corpi, ormai dimenticati, avrebbero rivisto la luce, diventando delle celebrità involontariamente.

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