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Opinioni

La vita sulla terra è più antica di quanto si credeva

Secondo nuovi studi paleontologici, la vita sulla terra sarebbe emersa dalle acque degli oceani ben 65 milioni di anni prima di quanto si pensasse.
A cura di Julia Rizzo
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dinosauro fossile

Fin dalla loro scoperta nel 1946, i fossili di Ediacara -così chiamati dalla località australiana in cui furono rinvenuti- hanno sempre suscitato interpretazioni contrastanti. L'unica  certezza  è che sono i più antichi organismi pluricellulari fino ad ora conosciuti risalenti a un’epoca precedente alla cosiddetta "esplosione del Cambriano", l'imponente radiazione adattativa che diede origine a tutte le forme di vita odierne. Secondo uno studio pubblicato su Nature, questi antichissimi ed enigmatici fossili, considerati finora creature del mare, potrebbero invece essere licheni terrestri. I licheni sono un’associazione simbiotica tra funghi e alghe, una volta considerati come piante, ma ora riconosciuti come gruppo a sé. Si riproducono sul terreno, sulla corteccia degli alberi, sulle rocce, sul muschio ed anche sul cemento. Resistono sia nelle aree mediterranee e tropicali, che nel deserto e sopravvivono a temperature che variano da -186 °C a +100 °C. Dei veri organismi pionieri, insomma, che hanno saputo adattarsi a condizioni estreme e variabili, ma soprattutto a nuove realtà, come il passaggio dall’acqua alla terra ferma. Ciò rende la scoperta, pubblicata da Gregory Retallack, geologo presso l'Università dell’Oregon (USA), un’importante rivoluzione delle teorie dell’evoluzione della vita, in quanto anticiperebbe la sua comparsa  sulla terra ferma di ben 65 milioni di anni.

Tracce e graffi

La natura dei fossili del periodo Ediacaran, come la Dickinsonia a forma di frittella segmentata e la Spriggina risalente a circa 635-542 milioni di anni fa, è stata ferocemente dibattuta dagli esperti del settore. Molti pensano che i fossili rappresentino alcuni dei primi organismi complessi marini ad essersi evoluti. Ciò che cambia nella teoria di Retallack è che, dove la comunità scientifica si immagina fondali marini brulicanti, c’erano invece paesaggi secchi ospitanti forme di vita sessili. Retallack sostiene che il colore rosso della roccia e il modellamento atmosferico su di essa impresso indicano che i depositi si sono formati in ambiente terrestre simile all’attuale tundra artica. La struttura delle rocce, così come la disposizione angolare dei grani, indica che i sedimenti accumulati erano stati modellati dal vento. «Queste caratteristiche non si trovano nei sedimenti marini», sostiene Retallack. La roccia immediatamente sotto ai fossili presenta  ramificazioni  e strutture tubolari di un centimetro o più di lunghezza. La mancanza di tali strutture sopra i fossili suggerisce che le strutture tubolari sono i segni lasciati dall'ancoraggio simile a quello dei moderni molluschi e licheni.

Altri paleontologi rifiutano categoricamente la nuova ipotesi. Sostengono che le tracce di comportamento animale nei sedimenti di Ediacara, come le increspature ondulate, si contrappongono decisamente alla “ipotesi terrestre”. La Kimberella, per esempio, è un antico organismo pluricellulare simile a un mollusco, che strisciava sui fondali marini, graffiando la roccia e lasciando segni simili a quelli dei siti ediacarani. Anche Shuhai Xiao, paleontologo presso il Virginia Polytechnic Institute alla State University di Blacksburg (USA), non ritiene la teoria di Retallack convincente. «Per esempio», sostiene, «i diversi colori delle rocce che il collega ha analizzato a Ediacara indicano necessariamente l’esatta erosione di quando le rocce si sono formate. Questo perché nel corso dei  milioni di anni si sono susseguite negli strati composizioni chimiche diverse e di differente permeabilità all'acqua e all'ossigeno, che si consumano quindi in modalità notevolmente diverse».

L’esplosione del Cambriano

L’esplosione cambriana racchiude nel suo significato l’improvvisa ed estesissima evoluzione degli organismi viventi durante le prime fasi del dell’era del Cambriano, iniziata  circa 542 milioni anni fa ed durata fino a circa 485 milioni di anni fa, prima fase dell’era Paleozoica (“della vita antica”). Nei mari erano già presenti organismi pluricellulari vegetali (capaci di effettuare la fotosintesi e creare quindi la nostra atmosfera ricca di ossigeno) e animali, come ad esempio le spugne. In questo periodo la vita sulle terre emerse era sconosciuta. È probabile che organismi vegetali e fungini incrostassero la superficie del suolo in luoghi umidi oppure in vicinanza di sorgenti calde di origine magmatica, e altre ancora vivessero nelle lagune, ma non vi era traccia di vita animale sulla terra ferma.

Quando però i paleontologi analizzarono gli strati sedimentari risalenti al periodo del Cambriano si resero presto conto che qualcosa era rapidamente cambiato. Le rocce risalenti a quel periodo erano ricchissime di fossili. Gli scienziati hanno portato alla luce centinaia di organismi nuovi e sconosciuti. Infatti, nel periodo precedente al Cambriano gli animali erano tutti invertebrati a corpo molle, ed erano rimasti così per almeno 300 milioni di anni. Poi, in meno di 5 milioni di anni, periodo che si può considerare un batter d’occhio in scala geologica, si è passati da 3 phyla animali allora esistenti (le grandi famiglie in cui viene suddiviso il mondo animale in base all’organizzazione interna degli organismi come ad esempio artropodi, molluschi, cordati…) si passò a 38 phyla, che corrisponde al numero attualmente presente sulla Terra. In altre parole, proprio in questa era hanno visto la luce la maggior parte dei principali gruppi di animali oggi noti.

Cosa ha determinato in quel periodo un improvviso slancio evolutivo?

Trilobita

Andrew Parker, biologo marino della Royal Society ad Oxford, nel suo libro "In un batter d'occhio", ha riproposto la cosiddetta "Light switch theory", la quale ipotizza che il big bang della vita nei mari cambriani sia legata allo sviluppo dell'occhio. Prima del Cambriano il mondo era praticamente cieco. Gli esseri viventi possedevano solo dei fotorecettori, in grado di distinguere fra luce e buio, ma non di delineare immagini nitide degli oggetti.

Il primo animale a sviluppare il nuovo organo fu il Trilobita (oggi completamente estinto). La caratteristica principale di questi animali, cui devono il nome, è la suddivisione in tre parti della parte esterna del suo corpo. Essi svilupparono grandi occhi composti ed è questo che probabilmente ha fatto la differenza, soprattutto nelle tecniche di caccia. Per garantire la sopravvivenza a questa novità è praticamente obbligatoria una reazione, sempre in termini evolutivi, sia delle potenziali prede come anche degli altri cacciatori competitori. Quando  si sviluppò un organo in grado di fornire una visione chiara del mondo circostante, e soprattutto delle possibili prede, ci fu una vera rivoluzione. Un simile predatore infatti divenne subito il terrore delle specie allora viventi che, per sopravvivere, dovettero escogitare nuove strategie, quali sviluppare anch'esse occhi efficienti, aumentare gli altri sensi, adottare soluzioni mimetiche o altri comportamenti, sviluppare nuove strutture e piani anatomici per difendersi mediante corazze, aculei o ghiandole velenifere. Tutto ciò provocò insomma una moltiplicazione esponenziale delle linee evolutive dando vita alle forme di vita più svariate.

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Julia Rizzo è laureata in biologia ed è appassionata di comunicazione scientifica, soprattutto in ambito naturalistico ma anche biomedico. Attualmente vive a Bolzano.
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