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La teoria del tutto? È la termodinamica

Il fisico di Oxford, Vlatko Vedral, sostiene che il secondo principio della termodinamica potrebbe rappresentare la vera agognata “teoria del tutto”.
A cura di Roberto Paura
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“Se la tua teoria si rivela in contrapposizione con il secondo principio della termodinamica, non posso darti nessuna speranza: non ne ricaverà niente se non il crollo nella più profonda umiliazione”. Così si esprimeva, senza mezzi termini, il celebre astrofisico inglese Sir Arthur Eddington nel 1915. A quasi un secolo da quella dichiarazione, che a sua volta seguiva di quasi un secolo la scoperta delle leggi della termodinamica, sembra non esserci in effetti nessuna possibilità di violare un principio davvero fondamentale e universale. Così fondamentale e universale che Vlatko Vedral, docente di fisica quantistica a Oxford, ritiene possa rivelarsi alla base della vera “teoria del tutto”, che secondo i fisici dovrebbe permetterci di ricondurre le due grandi teorie della natura – relatività e meccanica quantistica – a un’unica legge capace persino di svelare, nelle parole di Stephen Hawking, “la mente di Dio”.

Termodinamica ovvero entropia

Anche se la parola “termodinamica” sembra far riferimento a un concetto piuttosto riduttivo legato solo alla fisica del calore, in realtà il suo campo di applicazione è vasto quanto l’universo. Sì, certo, la termodinamica spiega la dinamica di stati fisici connessi al calore, a partire da quella semplice verità scoperta agli albori della Rivoluzione industriale per cui non tutta l’energia immessa in una macchina viene trasformata in lavoro, in quanto una parte dell’energia viene dissipata nell’ambiente esterno sotto forma di calore. Ma man mano fu possibile dimostrare che la seconda legge della termodinamica è alla base di quasi tutto ciò che avviene nell’universo. Così come non è possibile che il caffè in una tazza si scaldi da solo, senza un consumo di energia – il gas del fornello, per esempio – allo stesso tempo è impossibile che le tessere di un puzzle si incastrino tra loro da sole, senza cioè il lavoro di una persona capace di comporre il puzzle impiegando energia. È il concetto di “entropia”, che altro non è se non un’altra formulazione del secondo principio della termodinamica: gli stati fisici passano sempre spontaneamente da uno stato di ordine ad uno di disordine, mai viceversa.

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L’universo va inevitabilmente incontro a un futuro di disordine assoluto, a un aumento inevitabile dell’entropia, finché tutto il calore sarà dissipato al punto da essere inutilizzabile per produrre qualunque cosa: è la cosiddetta “morte termica”. Nel corso degli anni sono stati presentati diversi escamotage alla legge dell’entropia, tra cui il famoso “diavoletto di Maxwell”: una versione semplice di quest’esperimento mentale proposto dal celebre fisico britannico James Clerk Maxwell nel 1867 sostiene che se abbiamo un barattolo di vernice rossa e lo mescoliamo con del bianco è impossibile riuscire a dividere di nuovo i due colori, a meno che un diavoletto microscopico non riesca a dividere le singole molecole delle due vernici, isolando di nuovo il rosso dal bianco. Per un osservatore esterno, sembrerebbe proprio di assistere a una violazione del secondo principio, poiché gli stati sono tornati in ordine senza impiego di energie. Negli anni ’70 il fisico americano Charles Bennett e il suo collega dell’IBM, Rolf Landauer, attraverso la nascente teoria dell’informazione, dimostrarono che anche in questo caso l’entropia non può essere invertita: per fare ordine nel sistema, il diavoletto deve impiegare la propria memoria per riuscire a capire come riportare le cose nel precedente stato. E quando il diavoletto muore o comunque in qualche modo la sua memoria raggiunge il limite, l’informazione si dissipa ritornando nell’ambiente e contribuendo quindi ad aumentare l’entropia, in una misura ritenuta superiore al calo di entropia prodotta dal diavoletto.

Quanti, tempo e gravità: frutto dell'entropia?

Questa scoperta ha un importante ruolo nel dimostrare come l’entropia si applichi anche alla meccanica quantistica, che sappiamo comportarsi in modo diverso rispetto alla meccanica classica, regolata dalla termodinamica. All’inizio di quest’anno, Vedral e due suoi colleghi del centro di fisica quantistica di Singapore hanno dimostrato che il principio di indeterminazione della fisica quantistica – per cui non è possibile conoscere al contempo moto e posizione di una particella subatomica – altro non è se non un corollario della legge dell’entropia. Infatti, per estrarre tutta l’informazione dal sistema quantistico, dovremmo impiegare così tanta energia da modificare sensibilmente il sistema stesso, di fatto aumentandone il disordine e la sua entropia e perdendo ogni possibilità di avere un quadro completo del sistema nel suo stato originario.

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A questo punto, sembra possibile descrivere la fisica e quindi la natura e tutto ciò che esiste semplicemente in termini di cose possibili e impossibile, applicando il secondo principio della termodinamica. Non è possibile che un pollo surgelato si cuocia da solo né che i cocci di un vaso si ricompongano spontaneamente, per fare qualche esempio. Del resto, nota Vedral, già descriviamo l’universo in termini di cose impossibili da fare: superare la velocità della luce, produrre energia dal vuoto, e appunto ridurre l’entropia di un sistema chiuso. Il concetto stesso di tempo, che la meccanica quantistica non riesce a spiegare – è impossibile “quantizzare” il tempo, che è una proprietà di fondo dell’universo stesso – non sarebbe altro che un modo diverso di definire l’entropia. Se non possiamo tornare indietro nel tempo è proprio perché non possiamo ridurre l’entropia, per questo ci apparirebbe assai strano vedere per esempio che i piatti, dopo una cena, si lavino e tornino da soli al loro posto. Una scena del genere sembrerebbe come vedere un film in rewind. La freccia del tempo va solo in avanti perché segue la legge dell’entropia per cui uno stato fisico passa inevitabilmente dall’ordine al disordine. Il nostro corpo invecchia e muore, e non viceversa, perché l’ordine interno che regola il nostro metabolismo va incontro ai limiti imposti dalla seconda legge della termodinamica.

Infine, anche la relatività generale si è dimostrata in accordo con l’entropia. All’epoca delle prime scoperte dei buchi neri sembrò possibile che essi costituissero una violazione del secondo principio, in quanto i buchi neri sono oggetti al cui interno vige una bassa entropia. Se tutta la materia dell’universo finisse dentro i buchi neri, l’universo stesso passerebbe da uno stato di alta entropia a uno di bassa entropia, violando le leggi della termodinamica. Fu poi scoperto che i buchi neri in realtà evaporano sul lunghissimo periodo emettendo radiazione, quindi dissipandosi in calore che aumenta l’entropia generale dell’universo. Tutto ciò, secondo Vedral, dimostra che una futura teoria del tutto dovrebbe essere in funzione proprio dell’entropia, che già si è rivelata capace di restare valida sia nell’ambito della meccanica quantistica che in quello della relatività. E la legge più nota dell’universo, la gravità, non sarebbe altro che l’effetto del secondo principio, poiché il calore emesso nel momento in cui due oggetti collidono per effetto della gravità aumenta il grado di entropia dell’universo. Se ciò fosse vero, sarebbe come dire che la teoria del tutto è da due secoli sotto i nostri occhi, ma non ce ne siamo accorti.

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