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La prossima sfida della scienza è superare il riduzionismo

I grandi problemi irrisolti della ricerca scientifica sono il frutto del comportamento emergente, un fenomeno che non può essere risolto con il tradizionale approccio del riduzionismo.
A cura di Roberto Paura
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atomi

Non c’è dubbio che la scoperta del bosone di Higgs abbia avuto una grande eco nella comunità scientifica, anche in quella che non si occupa direttamente di fisica delle particelle, ma condivide con questa branca della scienza l’indagine dei principi fondamentali della natura. Tuttavia, l’eco più vasta si è avuta tra chi studia la scienza “dal di fuori”, analizzando i metodi della ricerca scientifica e i comportamenti dei suoi protagonisti. La scoperta della cosiddetta “particella di Dio” rappresenta la fine di un’epoca, quella dominata dal riduzionismo, e l’inizio di una nuova era in cui i problemi ancora irrisolti potranno essere risolti solo con un nuovo tipo di approccio.

Cos'è il riduzionismo

A sostenerlo sono diversi eminenti studiosi, come spiega sul suo blog di Scientific American Ashutosh Jogalekar, chimico interessato ai rapporti tra scienza, filosofia e sociologia. Innanzitutto, cos’è il riduzionismo? “Il riduzionismo è la grande eredità del ventesimo secolo, una filosofia i cui semi furono gettati quando i filosofi greci iniziarono a rimuginare sulla natura della materia”, spiega Jogalekar. “Il metodo in effetti è piuttosto intuitivo; da quando sono scesi giù dagli alberi, gli esseri umani hanno cercato di risolvere i problemi dividendoli in parti più semplici”. Per avere un’idea di dove il riduzionismo ci ha portato, basta pensare proprio alla fisica delle particelle.

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Prendiamo un sasso e lo rompiamo per scoprire di cosa è fatto. Poi prendiamo un singolo granello e cerchiamo di scomporlo nelle sue molecole di base. Da qui, abbiamo scoperto che le molecole sono fatte di atomi, e che gli atomi sono composti da elettroni e particelle nucleari. Abbiamo scoperto che queste ultime sono di due tipi, neutroni e protoni, che a loro volta sono composte di quark. E qui ci siamo fermati; naturalmente, non è tutto così semplice: ci sono i fermioni e i bosoni, e questi ultimi possono essere così massicci da non poter essere facilmente individuati, se non nei grandi acceleratori di particelle, lì dove anche il bosone di Higgs infine è stato trovato. Ma il riduzionismo ci ha permesso di scoprire anche che all’interno del nucleo delle nostre cellule risiedono i cromosomi, e che essi custodiscono la molecola a doppia elica del DNA, che a sua volta si compone di geni, i mattoni della vita.

Comportamento emergente

Ma ci sono delle domande a cui non siamo ancora in grado di rispondere. “Com’è iniziata la vita sulla terra? Come ha fatto la materia biologia a evolversi fino alla consapevolezza di sé? Cos’è la materia oscura e l’energia oscura? Come cooperano le società per risolvere i loro problemi più urgenti? Quali sono le proprietà del sistema climatico globale?”. Domande lontanissime dal ricevere una risposta, e questo perché l’approccio riduzionista si ferma di fronte a questi problemi. Non sono problemi risolvibili scomponendoli nelle loro varie parti. Ci abbiamo provato, e abbiamo capito che non si stava andando da nessuna parte. Ciò che accomuna tutti questi problema è il cosiddetto “comportamento emergente”.

“ Da quando sono scesi giù dagli alberi, gli esseri umani hanno cercato di risolvere i problemi dividendoli in parti più semplici. ”
Ashtosh Jogalekar
Collective emergence – in italiano meglio tradotto come “comportamento emergente” – è un concetto molto semplice, che sta a intendere l’emergere di una struttura più complessa di quella costituita dalle singole parti di un’entità collettiva. Il tipico esempio è la mente umana, un altro rompicapo irrisolvibile. È impossibile, infatti, cercare di comprendere come funziona la mente analizzando i singoli neuroni che costituiscono il cervello. La nostra coscienza, la nostra mente, è più della singola somma delle parti. Detta in altre parole, le singole parti, sommate tra loro, danno un risultato diverso da quello che immaginiamo. In matematica, questi problemi sono formalizzati attraverso le cosiddette “equazioni non lineari”.

"More is different"

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Nel 1972 il fisico Philip Anderson in un saggio pubblicato su Science dal titolo “More Is Different” spiegava il concetto del comportamento emergente come qualcosa di estremamente comune nell’esperienza quotidiana. Un cristallo di sale è del tutto differente dai suoi singoli componenti chimici, il cloro e il sodio. Un atomo di oro non è giallo e di certo non luccica: dobbiamo metterne insieme milioni per avere un pezzo di oro che possieda le proprietà che ben conosciamo. Secondo il fisico di Oxford David Deutsch, il riduzionismo non può mai spiegare lo scopo, il fine. Questo non vuol dire assolutamente sostenere che esista un fine ultimo nella natura, come vuole la teologia, ma solo che esiste un proposito finale in alcuni meccanismi naturali. Per fare un esempio, i grandi cumuli creati dalle termiti sono espressione di uno scopo che accomuna questi insetti nel loro frenetico lavorio per realizzarli.

Fondamentalmente, dunque, sono due i problemi che il riduzionismo non riesce ad affrontare: l’origine e il fine. Che sono poi i problemi che danno vita alle grandi domande di senso: chi siamo? Perché esistiamo? Dove stiamo andando? La maggior parte degli scienziati, nel loro lavoro, non si pone mai queste domande, perché la loro attività riguarda questioni completamente diverse, certamente più pratiche, che possono essere risolte attraverso il tradizionale approccio riduzionista. Ma una piccolissima parte della comunità scientifica si trova oggi a dover affrontare queste problematiche, che si frappongo fra noi e la verità ultima come un muro di cinta. Da un lato, c’è la risposta della religione, secondo cui la scienza può spiegare solo il ‘come’, ma deve lasciare alla fede spiegare il ‘perché’. Dall’altro, c’è la risposta delle nuove raffinate teorie scientifiche che, pur tra mille difficoltà, stanno cercando di gettare uno sguardo oltre il muro.

Stephen Hawking afferma che la scoperta di una “teoria del tutto” ci permetterebbe di comprendere non solo il ‘come’, ma anche il ‘perché’. Pochi tra gli studiosi del comportamento emergente condividono il suo ottimismo. Una teoria del tutto costituirebbe il trionfo del riduzionismo, perché ridurrebbe tutti i fenomeni naturali a una sola, elegante equazione matematica. Ma assai difficilmente una teoria del tutto spiegherebbe il comportamento della società umana, né tantomeno sarebbe in grado di trovare una cura per il cancro.

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