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L’ottimismo è sopravvalutato

Il pensiero positivo non migliora le performance, almeno non nella misura in cui molti credono.
A cura di Nadia Vitali
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Pare che rispetto all'ottimismo ci sia un ottimismo diffuso, perlopiù inappropriato. La professoressa Elizabeth Tenney della David Eccles School of Business dell’università dello Utah, assieme ai suoi colleghi della Haas School of Business dell’università della California presso Berkeley, ha messo a punto e realizzato un esperimento che aveva l’obiettivo di verificare il rapporto tra individui e pensiero positivo e in che modo tale rapporto può incidere sulle performance di ciascuno. I risultati, resi noti attraverso uno studio pubblicato dal Journal of Personality and Social Psychology, sembrano indicare che l'ottimismo è spesso ingiustamente sopravvalutato.

Prima fase dell'esperimento

Durante una prima fase, ad uno dei gruppi è stato chiesto di svolgere una serie di esercizi di preparazione, prima di dedicarsi a risolvere dei problemi. Dopodiché è iniziata la fase vera e propria in cui si dovevano risolvere dei rompicapo matematici ma, prima di portare a compimento i problemi, ciascun partecipante ha ricevuto un commento (falso) in merito al lavoro svolto fino a quel momento: tale giudizio poteva indicare che il compito stava andando bene o male, ma sostanzialmente era basato sulle performance precedenti e non su quella ancora in corso. Per cui, in ogni caso, inappropriato. Naturalmente si dà per scontato che il giudizio positivo possa incrementare l’ottimismo dei partecipanti allo studio.

Il confronto

A un gruppo separato di partecipanti coinvolti nell'esperimento è stato poi chiesto di fare delle previsioni sui risultati che sarebbero stati raggiunti dagli altri: nonostante i soggetti del primo gruppo fossero tutti potenzialmente uguali, quelli rispetto ai quali era stata espressa opinione positiva venivano indicati come migliori nello svolgere il compito. E invece, alla fine, è emersa pochissima differenza tra le prove degli uni e le prove degli altri. Insomma, in quel caso l’ottimismo non è servito a nulla.

Seconda fase

Un secondo task consisteva nel completare un gioco “Dov’è Wally?”, ossia cercare un particolare personaggio in una illustrazione estremamente dettagliata che ritrae cose e persone. Secondo il gruppo addetto alle previsioni, gli ottimisti avrebbero dovuto mostrare capacità superiori del 33% rispetto agli altri: anche in questo caso, le cose non sono andate così, anzi gli ottimisti hanno impiegato una media di tempo maggiore con una percentuale trascurabile di successo in più.

Il peso (eccessivo) dell'ottimismo

Infine i ricercatori volevano indagare in profondità per capire quanta importanza dessero le singole persone all'ottimismo. I ricercatori hanno quindi elaborato il profilo di 99 tra i partecipanti allo studio, attraverso diverse informazioni relative alle loro competenze e performance e al loro livello di pensiero positivo. Dall'incrocio dei dati è emerso che, in generale, si tende a dare un peso all'ottimismo decisamente elevato, cosa che in realtà non è affatto legittimata da quanto testimoniano i risultati effettivi.  «Purtroppo le persone potrebbero essere eccessivamente ottimiste rispetto a quello che l'ottimismo può fare». Sarà anche vero: ma forse l'ottimismo aiuta, quanto meno, a sentirsi più leggeri per affrontare le cose.

[in apertura: Laughing Man di Loving Earth]

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