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L’interruttore delle fobie: se non riesci a gestirle, ecco come puoi spegnerle

I ricercatori del MIT hanno individuato il circuito del cervello coinvolto nelle fobie e l’interruttore che può spegnerle.
A cura di Zeina Ayache
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I ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) sono riusciti ad individuare l’area del cervello coinvolta nella paura e sulla quale intervenire per permettere ai pazienti di superare le fobie. Lo studio, intitolato “Amygdala-ventral striatum circuit activation decreases long-term fear” e pubblicato su eLife, è stato effettuato unicamente sui topi, quindi per ora noi dobbiamo continuare a convivere con le nostre difficoltà fino a che le scoperte effettuate non saranno validate anche sull’uomo, nell’attesa però ecco come funziona l’interruttore delle fobie.

Gli scienziati sono partiti dalle terapie di condizionamento attualmente impiegate, tra queste la più diffusa è quella “espositiva” che consiste nel mostrare al paziente, a piccole dosi, l’elemento di cui ha paura, ad esempio attraverso fotografie. Questo approccio funziona sia per le fobie che per le complicazioni che insorgono in caso di disturbo post-traumatico da stress (DPTS), il difetto però è che dopo qualche tempo la paura ritorna. Insomma, si tratta di una terapia utile, ma a scadenza.

Per capire come intervenire in maniera più efficace, i ricercatori hanno osservato l'attivazione del cervello di un gruppo di topi sottoposti all’elemento di cui avevano paura (una paura sviluppata in precedenza dagli scienziati stessi) e a terapia espositiva. Così facendo hanno scoperto che ad attivarsi è un circuito che unisce la parte del cervello coinvolta con la memoria (il nucleo basolaterale dell’amigdala – BLA) al Nucleus accumbens (NAc), che aiuta i processi cerebrali legati al sistema di ricompensa. Il circuito è stato ribattezzato BLA-NAc.

In pratica, il nostro cervello trae “godimento” non solo dalle emozioni positive, ma anche dal non ricevere un’emozione negativa che si aspetta in seguito all’esposizione all’elemento di cui il soggetto stesso ha paura, così facendo con il tempo si riduce la fobia. In aggiunta, gli scienziati hanno applicato il metodo del controcondizionamento che implica l’associare allo stimolo negativo, una ricompensa positiva: i topi ricevevano una bevanda zuccherata ogni volta che venivano sottoposti all’elemento di cui avevano paura. Così facendo hanno potuto osservare un prolungamento del tempo di ritorno allo stato di paura iniziale. Ma non è tutto. Questi metodi hanno effetti più duraturi quando il soggetto viene sottoposto a stimolazione optogenetica, quando cioè i circuiti neuronali coinvolti vengono stimolati attraverso fibre ottiche o LED.

Quanto scoperto domani potrà forse esserci utile per spegnere le nostre paure, per il momento, però, non ci resta che provare a superarle con i metodi attualmente disponibili.

[Foto copertina di 422737]

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