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L’editing genetico contro la distrofia muscolare

Considerata la scoperta scientifica dell’anno, la tecnica CRISPR-Cas9, che consente di “tagliare” frammenti di DNA, sta già promettendo grandi risultati.
A cura di Nadia Vitali
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Un gruppo di ricercatori dell'americana Duke University si è servito della tecnica di editing genetico denominata CRISPR per trattare la distrofia di Duchenne in alcuni topi di laboratorio: il primo tentativo di utilizzo di CRISPR in un mammifero adulto con una malattia genetica per il momento sembra più che incoraggiante e – spiegano in comunicato – potrebbe essere il primo passo verso una strategia potenzialmente applicabile nell'ambito della terapia sugli esseri umani.

Riscrivere il DNA

Prima di ciò, i ricercatori avevano utilizzato CRISPR esclusivamente per intervenire sulle mutazioni genetiche a carico di colture di cellule prelevate da pazienti con la distrofia di Duchenne, la più comune tra le distrofie muscolari infantili. Altri laboratori avevano lavorato sempre su singole cellule dal momento che questo approccio, che consente di "tagliare ed eliminare" frammenti di DNA con elevatissima precisione "riscrivendo" dunque in alcuni punti, è ancora molto discusso dal punto di vista etico. Oltretutto, tra gli ostacoli che questa tecnica si trova ad affrontare c'è anche quello relativo all'inserimento del gene modificato che deve essere bene integrato per non creare ulteriori problemi, cosa piuttosto complessa. In ogni caso, l'impiego della tecnica per correggere mutazioni di singoli tessuti danneggiati dei pazienti non è oggetto di dibattito: la possibilità di studiare il potenziale di CRISPR, dunque, c'è e va sfruttata.

La distrofia di Duchenne

All'origine della distrofia muscolare di Duchenne c'è un problema dell'organismo relativo alla produzione di distrofina, lunga catena proteica che consente all'interno della fibra muscolare di legarsi alla struttura di supporto circostante. La distrofina è codificata da un gene che contiene 79 regioni che partecipano alla codifica della proteina; tali regioni sono dette esoni e, se una sola è colpita da mutazione nociva, la catena non si costruisce, causando così il deteriorarsi e la distruzione dei muscoli. Ogni anno sono circa 5000 i bambini di sesso maschile che vengono al mondo con la distrofia di Duchenne (le femmine possono esserne solo portatrici sane) una buona parte dei quali ha aspettative di vita di molto inferiori alla media della popolazione (anche se negli ultimi anni sono stati registrati parecchi progressi).

La sperimentazione

Il gruppo della Duke University, guidato dal professor Gersbach, lavora da diversi anni ai trattamenti genetici della distrofia di Duchenne ma solo recentemente si è focalizzato sulla tecnica nota come CRISPR/Cas9, servendosene per eliminare l'esone mutante che blocca il processo di trascrizione del gene, impedendo la sintesi della distrofina. I ricercatori, quindi, hanno lasciato all'organismo il compito di portare avanti la sintesi della proteina che, benché non perfetta, rappresenta una versione più funzionale della distrofina ed ha consentito un recupero delle funzionalità muscolari nei topi affetti dalla distrofia muscolare di Duchenne (naturalmente nella forma murina della malattia).  Dopodiché, per recapitare questo kit di riparazione nelle cellule muscolari delle cavie adulte, i ricercatori hanno sfruttato un virus appartenente al gruppo degli AAV (adeno associati) già usato in sperimentazioni di questo tipo. Lo stesso risultato è stato ottenuto oltre che dai ricercatori della Duke University anche da altri due gruppi indipendenti, rispettivamente dell'università del Texas a Dallas e da Harvard.

C'è ancora molto lavoro da fare per trasformare questo in una terapia per gli esseri umani e per dimostrare che è sicura. Ma questi risultati provenienti dai nostri primi esperimenti sono davvero esaltanti. Partendo da qui ottimizzeremo il sistema di consegna, valutando l'approccio con forme più gravi di distrofia muscolare e stimandone l'efficienza con animali di taglia più grande, con l'eventuale obiettivo di arrivare alla sperimentazione clinica. – Charles Gersbach

Lo studio è stato pubblicato da Science.

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