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Il vulcano Marsili deve essere studiato più a fondo

Un mostro marino dorme al largo delle coste italiane: è il vulcano più grande d’Europa e non conosciamo a sufficienza quali potrebbero essere i rischi legati alla sua attività.
A cura di Nadia Vitali
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Il vulcano Stromboli
Il vulcano Stromboli

Del vulcano Marsili sappiamo relativamente poco: ne conosciamo la collocazione geografica – al largo delle coste campane e calabresi – e possediamo informazioni legate esclusivamente a dati geofisici e a campioni prelevati dalla sua sommità. Ma questo vulcano sottomarino è il più grande d’Europa e del Mediterraneo e questo dovrebbe farne un osservato speciale, data anche la sua vicinanza alla nostra terraferma. A scrivere oggi della necessità di approfondire le conoscenze del Marsili è il vulcanologo Guido Ventura il quale, attraverso il bolg dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, riapre interrogativi importanti: «È vero che è attivo? Esiste un pericolo tsunami legato al possibile distacco di una grande frana (collasso laterale)?»

Eruzioni recenti

Gli scienziati sanno che il vulcano è interessato da un’attività idrotermale e da un’attività sismica e che le due eruzioni più vicine al nostro tempo in cui è stato coinvolto il Marsili risalgono rispettivamente a 5000 e 3000 anni fa. In quell’occasione, si trattò di eventi a basso indice di esplosività, verificatisi nel settore centrale a circa 850 metri di profondità.

Rischi di eruzioni sottomarine

Nel caso in cui si verificasse un’eruzione sottomarina a profondità di 500-100 metri sul Marsili, la sola cosa che vedremmo sarebbe il ribollire dell’acqua, legata al galleggiamento di materiale vulcanico (le pomici). Insomma, rischi estremamente bassi che potrebbero concretizzarsi al massimo in una deviazione temporanea delle rotte navali.

Tempi di ritorno

Una cosa rispetto alla quale ci sono molti dubbi sono i tempi di ritorno delle eruzioni del Marsili: le stime di questo tipo, in genere, si basano su calcoli statistici che prendono in considerazione un elevato numero di datazioni. Nel caso del Marsili, purtroppo, si dispone di appena quattro date.

In altre parole, è come se noi del Vesuvio conoscessimo solo le eruzioni del 1631 e del 1944 e dicessimo che i tempi di ritorno sono di 400 anni, mentre, in realtà, l’attività del Vesuvio tra queste due date è stata pressoché continua – Guido Ventura

Rischio tsunami?

C’è poi il discorso dei collassi laterali e dei possibili tsunami, sempre legati alla eventuale pericolosità delle eruzioni sottomarine: anche in merito a ciò, i dati in possesso degli scienziati non consentono di fornire stime quantitative precise. Ecco perché l’autore dell’articolo sottolinea la necessità di effettuare una stima della stabilità dei versanti del vulcano, di valutare il volume di roccia potenzialmente coinvolto, conoscerne le modalità di movimento lungo il pendio: soltanto la conoscenza di tutti questi parametri può consentire di stabilire se c’è la possibilità di un rischio tsunami.

La valutazione del rischio, un dovere sociale

In buona sostanza, il discorso del vulcanologo mira a puntare l’attenzione su qualcosa che fino ad oggi non ha mai costituito un pericolo ma che non possiamo escludere del tutto che possa costituirlo in futuro. La morfologia del vulcano non sembra presentare tracce di collassi laterali, mentre i franamenti del fondo marino evidenziati sono superficiali e coinvolgono volumi di roccia trascurabili che non sono in grado di procurare tsunami. Il passato delle coste tirreniche non sembra ricordare onde anomale ricollegabili a collassi laterali del Marsili.

Ma questo non può escludere del tutto che in futuro possano verificarsi fatti del genere: ecco perché è importante una valutazione della stabilità del vulcano e della stima della pericolosità potenziale da tsunami. Una valutazione «scientificamente importante e socialmente doverosa».

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