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Il vino francese? In realtà era italiano

Uno studio recente inserisce un nuovo tassello nell’antichissima storia che portò l’uva fermentata dall’Italia fino alle coste francesi, dove il vino subentrò alla tradizionale birra ricavata dal grano o dall’orzo.
A cura di Nadia Vitali
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Probabilmente non sapremo mai con esattezza che gusto aveva realmente il vino che veniva prodotto secoli fa, proveniente da altre uve, arricchito con particolari aromi che forse oggi non sarebbero di nostro gradimento, prodotto e conservato con metodi e tecnologie estremamente differenti da quelli che siamo abituati a conoscere. Possiamo però, grazie alla scienza, provare a ricostruirne la lunghissima storia, seguendo i percorsi che, nell'arco di migliaia di anni, la preziosa bevanda prodotta dall'uva fermentata avrebbe compiuto, conquistando di volta in volta nuovi popoli soggiogati, in questo caso, non dalla spada bensì dal dolce nettare che regala oblio ed euforia.

Ed è proprio quello che hanno fatto i ricercatori autori di uno studio pubblicato dalla rivista PNAS che raccoglie ed analizza recenti dati relativi ad un passaggio fondamentale della storia del vino: il momento in cui l'amata bevanda sarebbe stata importata nella Francia meridionale, in particolare grazie agli scambi commerciali che interessavano i floridi centri urbani costieri. Fu l'inizio di un sodalizio amoroso, quello tra i nostri cugini d'oltralpe e la coltivazione della vite, che avrebbe portato fino alla nascita di nomi ed etichette celebri a livello mondiale, simbolo di un Paese in cui la produzione vinicola è una voce importante non soltanto dell'economia ma anche, e soprattutto, della cultura locale. Eppure i più antichi antenati di quelli che un giorno si sarebbero chiamati Bordeaux, Beaujolais fino al, forse, più famoso in assoluto Champagne, parlavano lingua etrusca e provenivano dalle viti nostrane: un dato già noto agli studiosi sul quale, grazie a reperti provenienti da recenti campagne di scavo, è stato possibile fare luce con maggiore precisione, illustrando anche alcuni dettagli relativi alla cronologia.

Le analisi condotte su composti organici rinvenuti su alcuni reperti provenienti dal sito dell'antico centro di Lattara (oggi Lattes, poco distante da Montpellier), infatti, consentirebbero agli archeologi di stabilire delle date: anfore la cui manifattura sarebbe attribuibile alla zona di Cerveteri (Cisra, secondo il nome con cui la chiamavano gli etruschi) e, addirittura, una pressa in pietra calcarea che serviva a schiacciare l'uva, costituirebbero i più antichi resti francesi relativi ai processi di vinificazione locali. All'interno di tre anfore in particolare, risalenti ad un arco di tempo compreso tra il 500 e il 475 a. C., perfettamente intatte e sigillate, è stato rilevato un residuo depositatosi sul fondo; sottoposto ad esami specifici, quali la spettroscopia infrarossi e la gascromatografia-spettrometria di massa, il campione presente è risultato essere quel che restava del vino conservato nelle anfore. Oltre all'acido tartarico, uno dei principali marcatori della bevanda, i ricercatori hanno individuato anche tracce di resina di pino, rosmarino, timo, basilico: piante aromatiche che potrebbero contribuire ad identificare la penisola italica come probabile luogo d'origine del vino. Gli studiosi hanno inoltre evidenziato come la presenza di tali vegetali all'interno della bevanda fermentata sarebbe la testimonianza dell'uso anche medicinale che veniva fatto degli alcolici.

Acido tartarico è stato individuato anche sulla pietra che veniva usata come torchio, datata tra il 425 e il 400 a. C., assieme ad alcuni semini di acini d'uva ritrovati nelle sue immediate vicinanze: la prova, la più antica in assoluto, dell'esistenza di una produzione vinicola già avviata nel v secolo, benché di dimensioni ed ampiezza che è ancora impossibile stabilire. Assai verosimilmente, il vino arrivò in terra francese inizialmente grazie all'esportazione proveniente dall'Italia e diretta non solo a Lattara ma anche verso le colonie come Nikaia (Nizza) e Massalia (Marsiglia), quest'ultima già considerata nell'antichità come un importante centro vitivinicolo.

Secondo quanto spiegato da Patrick Mc Govern, direttore del Biomolecular Archaeology Laboratory presso il museo della University of Pennsylvania e primo firmatario dello studio, è probabile immaginare uno scenario in cui prima della micro-produzione locale, forse una iniziale fase di sperimentazione, il gusto per la nuova bevanda fosse già ampiamente sviluppato. Attraverso il commercio, infatti, il vino sarebbe stato importato e in un primo momento consumato esclusivamente dai più ricchi e potenti, a partire almeno dal VII secolo a. C. Successivamente, sarebbero state avviate le colture con vitigni provenienti dall'Italia, magari anche servendosi dell'ausilio di coltivatori specializzati stranieri per dare inizio alla produzione. A quel punto, ormai, il vino era già noto e presso le popolazioni galliche aveva ormai soppiantato la tradizionale bevanda locale, la birra ricavata dall'orzo e dal grano ed aromatizzata con frutti di bosco e miele. Anzi, presumibilmente, fu proprio l'aumento della domanda che portò gli uomini che vivevano lungo le coste ad optare per una produzione fatta in casa; per poter, finalmente, avere a disposizione tutto il nettare alcolico nero che volevano e darsi alla baldoria, dimenticando, di tanto in tanto, le fatiche del presente.

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