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Il “santuario delle amigdale”, scoperta italiana in Eritrea

Così è stato immediatamente ribattezzato dai suoi scopritori l’immenso tesoro di pietre scheggiate e frammenti di ossa, rinvenuto dai ricercatori italiani in Dancalia: reperti appartenenti all’industria litica e resti umani di un milione di anni fa.
A cura di Nadia Vitali
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pietre scheggiate e frammenti di ossa in Dancalia

Una distesa di 400 metri quadrati nel bacino sedimentario di Buya, in Eritrea, con un'impressionante concentrazione di reperti dell'industria litica nonché di alcuni preziosissimi resti umani appartenenti ad un periodo stimato intorno ad un milione di anni fa: il soprannome di «Santuario delle Amigdale» sembra più che mai meritato per l'ultima eccezionale scoperta di un gruppo di ricercatori internazionali, guidati dal Porfessor Alfredo Coppa, paleoantropologo dell'Università di Roma Sapienza. La recente campagna di scavo condotta nel sito di Mulhuli-Amo, nella regione del Corno d'Africa della Dancalia, ha restituito un tesoro di testimonianze provenienti direttamente dal nostro «antenato» homo ergaster/erectus, attraverso frammenti craniali e manufatti di tipo acheuleano realizzati in basalto, selce, quarzite, accumulatisi nel tempo su quello che si pensa sia stato l'antico fondo di un canale, nei pressi del quale una permanenza umana prolungata e importante ha contribuito a lasciare tracce significative del nostro passato.

Amigdale, o bifacciali, utensili in pietra scheggiati allo scopo di renderli taglienti e servire agli utilizzi più vari, ricoperti dalla terra del tempo per centinaia di migliaia di anni, in un'area posta proprio all'imbocco della Rift Valley, non troppo lontano dal luogo in cui, quasi quarant'anni fa, vennero rinvenuti gli antichissimi resti di Lucy e dove, di recente, è stato identificato il fossile di un piede che sembrerebbe disegnare un particolare scenario evolutivo in cui convivevano specie di ominidi che avevano adottato comportamenti locomotori assolutamente differenziati, "preferendo" l'una la vita arboricola, l'altra la deambulazione bipede e sul suolo. Ma anche nel bacino di Buya non sono mancate le sorprese: frammenti di osso che potrebbero appartenere ad un singolo cranio sono andati ad arricchire una collezione di reperti umani che, nell'ultimo anno, ha già portato alla scoperta dei resti di altri due individui, tutti apparentemente appartenenti alla medesima popolazione in cui si inscriverebbe anche un cranio ritrovato 16 anni fa nello stesso territorio. Ampliando la zona ad un raggio di circa 10 chilometri, dove in realtà sono stati già individuati ma non esaminati una trentina di insediamenti, ci si imbatte nell'eventualità di riuscire addirittura a ricostruire i tratti di un solo gruppo di genti, pressappoco contemporanee, di cui è possibile tracciare una storia biologica a grandi linee, grazie ritrovamenti della rilevanza di questo. Ora si attendono ulteriori ed approfonditi esami strumentali in grado di ricostruire ed accertare la datazione dei reperti: il contesto cronologico, già individuato grazie al contributo della geologia, verrà precisato con maggiore certezza, consentendo di lanciare uno sguardo ancora più chiaro su quest'antichissima area del nostro Pianeta.

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