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Covid 19

I tamponi anali contro il Covid-19 sono una cosa seria

Il test per rilevare l’infezione da coronavirus è già stato sperimentato a Pechino dove ha mostrato di poter aumentare il tasso di rilevamento delle persone contagiate. Al vaglio l’impiego anche in Europa, anche se nell’ambito dell’Unione la decisione di utilizzarli spetterà ai singoli Stati membri.
A cura di Valeria Aiello
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Molecolari, sierologici, antigenici… e adesso anche rettali. Non è uno scherzo e neppure una delle tante fake news che circolano in rete: ai diversi tipi di test che utilizzati per rilevare il contagio da Sars-Cov-2 potrebbe aggiungersi anche quello per via rettale.

Il test già sperimentato a Pechino

Il test è già stato sperimentato in Cina, come riportato anche dall’emittente televisiva statale China Central Television che ha intervistato un medico dello Youan Hospital di Pechino, Li Tongzeng, secondo cui l’utilizzo “può aumentare il tasso di rilevamento delle persone contagiate”, in quanto le tracce del virus rimangono più a lungo nel canale rettale rispetto al tratto respiratorio. Il tampone dovrebbe dunque permettere di identificare con più precisione i positivi, sebbene la ricerca del materiale genetico del virus partirebbe da un campione che non rappresenta la prima via di ingresso del virus.

Già ribattezzati “tamponi anali”, i nuovi test rettali sono stati impiegati, la settimana scorsa, in alcune aree di Pechino per accertare alcuni casi di contagio, anche tra coloro che si trovavano in strutture di quarantena. Le autorità sanitarie locali non avrebbero però intenzione di farne un uso esteso perché, spiega la tv cinese, il test è giudicato “sconveniente” rispetto a quelli tradizionali. La notizia non ha comunque mancato di suscitare ironia ma anche ripugnanza tra gli utenti di Weibo, la piattaforma social più popolare in Cina.

Al vaglio l'impiego anche in Europa

Dei test per via rettale si è parlato anche a Bruxelles, durante il debrief con la stampa della Commissione Europea, dove il portavoce capo Eric Mamer ha risposto alla domanda se la Commissione intenda raccomandare agli Stati membri l’uso di tamponi per via rettale . Il loro utilizzo “è una prerogativa degli Stati membri. L’unica cosa che abbiamo fatto (come Commissione Europea, ndr) è raccomandare alcuni test esistenti e chiedere un certo livello di coordinamento” ha risposto Mamer. “Fare test è competenza degli Stati membri – ha aggiunto il portavoce per la Salute, Stefan de Keersmaecjer – . Abbiamo presentato una proposta di raccomandazione che ora è in consiglio”. Riguardo agli aspetti tecnici, la Commissione si affiderà “ai consigli degli scienziati, quindi lasciamo al mondo scientifico valutare qual è il miglior approccio”.

Ad ogni modo, la decisione finale spetterà ai singoli Stati membri che, nel caso i parametri di sensibilità (la capacità di rilevare i veri positivi) e specificità (la capacità di rilevare i veri negativi) dei test rettali saranno paragonabili o sovrapponibili a quelli del tampone orofaringeo, potrebbero decidere di validare il test. Se fosse confermato, ad esempio, che la raccolta del materiale fecale può portare a una maggiore sensibilità, sarebbe evidente che l’impiego possa essere contestualizzato alla diagnosi di chi è ad alto rischio ma può presentare una carica virale bassa e difficile da raccogliere nell’orofaringe.

Del resto, l’impiego di questo esame diagnostico non sarebbe neppure una novità, in quando il tampone rettale è già utilizzato per identificare alcuni microrganismi responsabili di malattie intestinali (come colera, salmonella, shigella…) e in gravidanza indicato per la ricerca dello Streptococcus agalactiae, un batterio gram positivo che nei bambini in utero può essere la causa di sepsi, meningite e polmonite neonatale.

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