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Giappone: creata in laboratorio la prima scimmia col Parkinson

Ricercatori dell’Università Keio di Tokyo hanno modificato geneticamente un uistitì per provocare il morbo di Parkinson e studiare lo sviluppo della malattia.
A cura di Andrea Centini
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Se in Europa e negli Stati Uniti la sperimentazione scientifica sui primati è limitata dalla fortissima pressione esercitata dall'opinione pubblica, nei paesi orientali come Cina e Giappone il dibattito etico non è così aspro, e la ricerca su questo gruppo di mammiferi, cui appartiene anche la nostra specie, continua praticamente indisturbata, sfociando in esperimenti la cui eco alimenta soprattutto in Occidente lo scontro tra chi ritiene si tratti di un sacrificio necessario e chi una barbarie da boicottare senza compromessi. L'ultima ricerca a scuotere le coscienze giunge dal Giappone, nello specifico dalla Scuola di Medicina dell'Università Keio di Tokyo, dove una equipe di ricercatori, coordinata dal professor Hideyuki Okano, per la prima volta ha ingegnerizzato alcuni esemplari di uistitì (gen. Callithrix) per provocare l'insorgenza del morbo di Parkinson, al fine di studiare l'evoluzione della malattia e promuovere lo sviluppo di farmaci che ne arrestino la progressione.

Lo studio, presentato durante il meeting “State of the Brain” di Alpbach in Austria, al quale hanno partecipato alcuni dei massimi esperti mondiali nel campo delle neuroscienze, è stato avviato attraverso una modifica genetica che ha reso la scimmia portatrice della copia mutata di un gene umano, noto per essere correlato al morbo di Parkinson e a forme di demenza. Questo gene, denominato SNCA, fornisce le istruzioni per una piccola proteina chiamata alfa-sinucleina, che è abbondante nel cervello ed è presente in piccole quantità anche nei muscoli, nel cuore e in altri tessuti. Quando SNCA è difettoso produce un accumulo della suddetta proteina nel cervello, eliminando le cellule deputate alla produzione di dopamina e scatenando come conseguenza i sintomi del morbo di Parkinson. Tali sintomi sono stati sviluppati anche dallo uistitì ingegnerizzato, che in tre anni ha evidenziato anche i tremori caratteristici della patologia umana: “Quando si ha a che fare con queste malattie – ha sottolineato il professor Okano ai margini del meeting austriaco – è molto difficile indagare su ciò che sta accadendo nei pazienti in vita, dunque la conoscenza dei circuiti cerebrali responsabili è per lo più non identificata”. “Ci auguriamo – ha proseguito lo studioso – di riuscire a trovare un modo per prevedere l'insorgenza di ogni sintomo, e sviluppare farmaci che rallentino la progressione della malattia”.

Il dibattito sulla sperimentazione sui primati è fortissimo non solo all'esterno, ma anche all'interno della stessa comunità scientifica, con correnti di pensiero fortemente antitetiche. In Europa e negli Stati Uniti molti laboratori si lamentano di poter condurre le ricerche solo sui topi, la cui vicinanza genetica all'uomo non è naturalmente paragonabile a quella degli altri primati, mentre altri si oppongono sottolineando che non vi sia alcuna garanzia che i risultati ottenuti sulle scimmie siano validi anche per l'essere umano. Tra le specie di primati più utilizzate in Giappone e Cina per la sperimentazione vi sono principalmente macachi cinomologhi (Macaca fascicularis) e macachi rhesus (Macaca mulatta); quest'ultima specie ha avuto un ruolo talmente importante nella ricerca scientifica che il famoso fattore rH del gruppo sanguigno deriva proprio dal suo nome. La notizia sulla creazione della prima scimmia transgenica affetta dal morbo di Parkinson è stata diffusa da New Scientist.

[Foto di Hans]

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