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Danni cerebrali invertiti per la prima volta in una bimba: il “miracolo” dell’ossigenoterapia

Grazie a una serie di cicli di ossigenoterapia sono stati invertiti gravi danni cerebrali in una bambina di due anni. La piccola rimase sott’acqua per 15 minuti e in arresto cardiaco.
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A cura di Andrea Centini
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Un'equipe di medici dell'Università di New Orleans e dell'Università del Nord Dakota è riuscita a invertire il danno cerebrale in una bambina di due anni che aveva subito gravissime lesioni al cervello, in seguito a un evento di quasi annegamento. Il risultato, straordinario, è stato raggiunto attraverso specifici cicli di ossigenoterapia ed è la prima volta che si evidenziano progressi di questo genere in un paziente, benché la procedura adottata non sia approvata dalla Food & Drugs Administration (FDA).

Tutto ebbe inizio quando la piccola Eden Carlson, nel febbraio 2016, sfuggì al controllo della madre mentre era sotto la doccia, finendo nella piscina di famiglia. Fu ritrovata 15 minuti dopo a testa in giù e in arresto cardiaco dalla donna, la quarantenne Kristal Carlson, che le praticò immediatamente una tecnica di rianimazione mentre un'altra figlia contattava il 911. Dopo due ore di tentativi il cuore della piccola riprese a battere nell'Ospedale dei Bambini dell'Arkansas, tuttavia, a causa del tempo trascorso in quello stato si produssero gravissimi danni al cervello. La risonanza magnetica mostrò infatti una profonda lesione alla materia grigia, atrofia cerebrale e perdita di materia bianca. La piccola non camminava più, non parlava e non rispondeva agli stimoli esterni, come la voce dei parenti. Per i medici, Eden avrebbe vissuto il resto della sua vita in stato vegetativo.

Dopo una ricerca online i genitori scoprirono i potenziali benefici della ossigenoterapia promossa dal professor Paul Harch, un medico della LSU Health School of Medicine di New Orleans, e considerando le condizioni disperate della piccola decisero di contattarlo. A 55 giorni dall'incidente Eden iniziò con un ciclo normobarico (a pressione ambientale) due volte al giorno, con sessioni da 45 minuti ciascuna. L'ossigeno veniva immesso attraverso cannule nasali. Grazie a questo primo trattamento la piccola iniziò a muovere meglio le braccia, ad afferrare gli oggetti con la mano sinistra e a ottenere un allattamento parziale dalla madre, mostrando anche progressi nel linguaggio.

A 78 giorni dall'incidente la famiglia si trasferì a News Orleans, dove Eden fu sottoposta alla terapia iperbarica HBOT (hyperbaric oxygen therapy), con cinque sedute a settimana da 45 minuti ciascuna, per un totale di 40 trattamenti. Le risonanze magnetiche effettuate nei vari step successivi hanno mostrato un miglioramento fisico e neurologico significativo, e a 162 giorni dall'incidente si è presentata la quasi totale inversione dell'atrofia della materia corticale e della sostanza bianca. La piccola, che ora ha tre anni, non mostra più segni evidenti del danno cerebrale, e secondo Harch e colleghi il merito è dell'ossigeno che ha ridotto l'infiammazione e favorito la sopravvivenza cellulare, in sinergia con la giovanissima età della vittima.

“La sorprendente ricrescita del tessuto cerebrale in questo caso è avvenuta perché siamo riusciti ad intervenire presto in un bambino in crescita, prima della degenerazione tissutale a lungo termine”, ha sottolineato il professor Harch. “Anche se è impossibile concludere da questo singolo caso se l'applicazione sequenziale dell'ossigeno normobarico e HBOT sia più efficace della sola HBOT, quando quest'ultima non è immediatamente disponibile una breve terapia di ossigenoterapia normobarica può essere un'opzione fino a quando HBOT non diventa accessibile. Tali trattamenti medici a basso rischio possono avere un effetto profondo sul recupero della funzione in pazienti simili che presentano gravi lesioni cerebrali a causa dell'annegamento”, ha concluso il dottor Harch. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Medical Gas Research.

[Credit: LSU Health New Orleans School of Medicine]

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