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D-Orbit, la startup italiana che vuole ripulire lo spazio

Un piano per dotare tutti i nuovi satelliti di un motore di rientro in atmosfera per risolvere l’emergenza della “spazzatura spaziale”.
A cura di Roberto Paura
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Quanto pagate ogni mese per l’abbonamento alla tv satellitare? Sappiate che una piccola percentuale di quel prezzo dipende dal fatto che gli operatori dei satelliti per le telecomunicazioni pagano quasi 100 milioni di dollari per minimizzare il rischio di collisioni tra le migliaia di satelliti in orbita. Si chiamano collision-avoidance-maneuvers, manovre spaziali per evitare le collisioni, e spesso anche la Stazione Spaziale Internazionale è costretta a metterle in atto quando scatta l’allerta per il rischio di essere colpiti da un frammento vagante. Un’emergenza, quella della “spazzatura spaziale”, o space debris nel gergo tecnico, che nel prossimo futuro metterà a serio rischio la possibilità di lanciare nuovi satelliti. Le orbite, infatti, cominciano a essere sature. Dopo che, nel 2007, la Cina distrusse uno dei suoi satelliti meteorologici Fengyun in orbita per dimostrare di possedere armi spaziali, il numero dei debris è schizzato alle stelle. Una soluzione arriva ora dall’Italia. Si chiama D-Orbit ed è una coraggiosa startup lanciata da Luca Rossettini, oggi 37enne, specializzatosi negli Stati Uniti, con alle spalle anche un’esperienza alla NASA. In due anni l’azienda è salita da 4 a 15 dipendenti, età media trent’anni. Tra questi c’è il giovanissimo Lorenzo Ferrario, laureando in ingegneria aerospaziale, che al Wired Next Fest di Milano ha presentato alla platea la vision di un’azienda che non mira solo al business.

Sostenibilità spaziale

Lorenzo Ferrario, giovanissimo dipendente di D-Orbit,
Lorenzo Ferrario, giovanissimo dipendente di D-Orbit,

Alla base del progetto di D-Orbit c’è infatti il concetto di sostenibilità. Il rapporto tra sviluppo tecnologico e preservazione dell’ambiente non si limita solo alla Terra, ma è estendibile anche allo spazio. Bisogna fare qualcosa per ridurre i debris, 300 milioni circa attualmente in orbita secondo le stime, un +200% di collisioni negli ultimi tre anni e un +129% di aumento del premio assicurativo per i costruttori di satelliti. “Il problema dell’essere umano è che spesso va avanti finché non sbatte contro un muro”, osserva Lorenzo Ferrario raccontando a Fanpage.it i progetti di D-Orbit. “Solo adesso si comincia ad affrontare seriamente il problema perché le manovre per evitare i satelliti iniziano a diventare davvero costose. Ma, anche se se ne parla molto, sono poche le iniziative concrete: il grosso è fatto di chiacchiere e powerpoint.  Noi abbiamo visto il problema e abbiamo iniziato ad affrontarlo”.

La forza del progetto di D-Orbit sta in un approccio diverso da quello seguito dai competitor: “Le grandi compagnie aerospaziali si stanno occupando tantissimo dell’active debris removal, cioè la costruzione di veicoli in grado di andare nello spazio, recuperare i satelliti ‘morti’ e riportarli sulla Terra o spostarli dalla loro orbita”, spiega Ferrario. “Il problema è che in questo modo anche nelle più ottimistiche previsioni parliamo di 10-15 rimozioni l’anno, contro più di un centinaio di lanci effettuati ogni anno. Le cifre sono assolutamente imparagonabili. Bisogna prima evitare che i nuovi satelliti lanciati vadano a ‘inquinare’ di più l’orbita, e poi si può intervenire per rimuovere quelli vecchi”. È proprio questo che D-Orbit punta a realizzare: un dispositivo installato sui nuovi satelliti prima del lancio che ne permetta la rimozione al termine della loro vita operativa.

De-orbiting

“Il dispositivo D-Orbit consiste in un motore a propellente solido collegato a un computer estremamente affidabile, ed eventualmente – stiamo ancora valutando – ad altri sistemi per il controllo come quelli dell’assetto del satellite. La nostra idea è un dispositivo semi-indipendente dal satellite, che ne monitora la salute e, se riceve l’ordine dalla Terra o si accorge che il satellite ha un’avaria tale da renderlo irrecuperabile, permette a D-Orbit di assumere il controllo del satellite e rimuoverlo dall’orbita”. Le possibilità sono due: un de-orbit controllato, ossia un rientro in atmosfera, dove il grosso viene bruciato nell’attrito e i frammenti sopravvissuti vengono fatti precipitare nell’oceano senza rischi, o uno spostamento in un’orbita “cimitero”, ossia in una zona dove non daranno fastidio ai satelliti operativi.

Il dispositivo D-Orbit, preinstallato sui satelliti, consentirà il loro rientro in atmosfera o il trasferimento in un'orbita cimitero al termine della vita operativa.
Il dispositivo D-Orbit, preinstallato sui satelliti, consentirà il loro rientro in atmosfera o il trasferimento in un'orbita cimitero al termine della vita operativa.

I costi per dispositivo vanno dai 2 ai 5 milioni di euro per satellite. “Dipende moltissimo dal tipo di satellite, perché quelli che vanno in orbita più alta, può sembrar strano, costano un po’ meno di quelli di orbita bassa”, spiega Loreno Ferrario. “Dall’altra parte, facciamo risparmiare all’operatore qualcosa come 50 milioni di euro”. Non c’è da stupirsi se D-Orbit, pur non essendo ancora entrata nel mercato, è oggi sulla cresta dell’onda. “Siamo in contatto attualmente con moltissimi operatori di satelliti e costruttori. Gli operatori sono interessati a chiedere ai costruttori l’installazione di questo dispositivo per ottenere più profitto, mentre per i costruttori è un optional in più da offrire agli operatori”.

Fondata nella primavera del 2011 con una prima sede presso l’Incubatore Universitario Fiorentino, D-Orbit si sta ora trasferendo in una sede nuova di zecca a Lomazzo, in provincia di Como, dopo aver aperto anche un’area commerciale nella Simi Valley, in California. Vincitrice di numerosi riconoscimenti come miglior startup, ora è in procinto di decollare. “Abbiamo testato l’anno scorso il prototipo a terra, mentre ora stiamo sviluppando i componenti critici dell’architettura che testeremo nello spazio nei primi mesi del prossimo anno”, racconta Ferrario con soddisfazione e un pizzico di trepidazione. “A quel punto speriamo di chiudere le prime manifestazioni d’interesse in tempi brevi e a iniziare a realizzare il dispositivo. Non ha senso costruirlo prima di sapere su che satellite andrà installato, sarebbe come costruire i freni prima della macchina”. In questo caso, una macchina molto costosa che viaggia a migliaia di chilometri orari e il cui premio assicurativo è da capogiro. E se tra qualche anno potremo pagare di meno l’abbonamento per Sky, lo dovremo anche a D-Orbit e all’intraprendenza degli italiani.

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