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Cosa accade al tuo cervello con i funghi allucinogeni?

Qualcosa che ricorda l’attività cerebrale di quando si sogna: lo spiega uno studio dell’Imperial College of London.
A cura di Nadia Vitali
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«Le porte della percezione» per Aldous Huxley si aprivano grazie all'uso della mescalina: l'assunzione dell'alcaloide derivante dalla pianta del peyote – sosteneva lo scrittore britannico – offriva la possibilità di vivere un'esperienza in cui percezione e consapevolezza raggiungevano vette impossibili da visitare altrimenti, sfiorando un misticismo irriproducibile con altri strumenti. Anche la psilocibina, principio attivo derivante dai funghi allucinogeni, originerebbe effetti molto simili sul cervello dei suoi consumatori i quali sostengono di esperire una sorta di espansione della coscienza e apertura della mente che ricorda molto le descrizioni di Huxley.

Le basi biologiche dell'effetto allucinogeno

Da ormai diversi decenni gli scienziati osservano quali sono le reazioni scatenate nel cervello umano da specifiche sostanze psicotrope nel tentativo non soltanto di comprenderne i meccanismi di funzionamento ma anche di mettere in luce le eventuali potenzialità nell'ambito farmacologico di quelle che oggi sono considerate comunemente droghe: la grande diffusione di queste a partire dagli anni '60 è stata chiaramente una ulteriore spinta motivazionale per diversi studi susseguitisi negli anni. L'ultimo sull'argomento riguarda proprio la psilocibina, è stato pubblicato dalla rivista Humain Brain Mapping e porta la firma dei ricercatori dell'Imperial College London, guidati da Enzo Tagliazucchi del dipartimento di neurologia della Goethe University presso Frankfurt am Main.

Come è facile intuire dalla ampia disponibilità di varietà quando si parla di droghe, gli stupefacenti non sono tutti uguali: esemplificando al massimo (gli effetti sono molto complessi e certamente non univoci) si è soliti dividere rispetto all'azione compiuta da ciascuna singola sostanza. Gli oppioidi (per intenderci, eroina e morfina) o i barbiturici hanno azione psicolettica, tendendo a "spegnere" l'attività mentale; le anfetamine e la cocaina, viceversa, la eccitano. Gli allucinogeni come la mescalina e la psilocibina (ma anche i cannabinoidi), invece, agiscono alterando la percezione e, di conseguenza, spesso anche i comportamenti. Gli scienziati hanno scelto di concentrarsi proprio su questi ultimi, nel tentativo di chiarire quali potrebbero essere le basi chimiche e biologiche del loro caratteristico effetto. Per farlo hanno coinvolto alcuni volontari ai quali è stato chiesto di subire una risonanza magnetica funzionale, dopo che era stata somministrata loro della psilocibina per via endovenosa: in pratica, sono stati osservati mentre i loro cervelli vivevano un'esperienza del tutto simile a quella sperimentata nel corso dell'assunzione di funghi allucinogeni.

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Sognare da svegli?

I dati raccolti hanno evidenziato, in primo luogo, come la sostanza in questione sia in grado di interferire con la normale sincronizzazione delle diverse aree cerebrali superiori; allo stesso tempo, le aree sottocorticali si sono attivate maggiormente, dimostrando di lavorare in maniera più intensa e sincronizzata. Per intenderci: i network legati alle facoltà cognitive superiori e alla loro coordinazione risultavano assai meno funzionali del normale a causa della sostanza. In aree come l'ippocampo o la corteccia cingolata, associate a fenomeni quali la memoria e l'emotività, è stato riscontrato un funzionamento compatto e coordinato: ora, poiché un pattern di attività cerebrale molto simile è riscontrabile nei soggetti che dormono e sono in piena attività onirica, diventa più facile spiegare e comprendere la sensazione di apertura delle «porte della percezione».

I ricercatori hanno notato che la psilocibina sembrerebbe proprio espandere il numero dei possibili pattern cerebrali attivi per un preciso lasso di tempo, consentendo quindi a chi l'ha assunta di sperimentare un numero più elevato di stati mentali. L'aspetto più interessante è che tali stati mentali sarebbero quindi determinati da una perdita di energia nei livelli superiori delle regioni corticali e da un potenziamento delle reti neuronali negli strati più profondi (e primitivi) delle regioni cerebrali. Insomma, la mente si troverebbe ad operare in circostanze molto particolari, aprendosi a strade altrimenti sconosciute nello stato di veglia.

I risultati hanno entusiasmato i ricercatori i quali auspicano evidentemente un ritorno degli studi degli anni '50 e '60 sugli effetti degli allucinogeni. Robin Carhart-Harris, tra gli autori dello studio ha infatti osservato:

Conoscere i meccanismi alla base di quello che accade sotto l'effetto di droghe psichedeliche può anche aiutare a capire i loro possibili usi. Attualmente stiamo studiando l'effetto dell'LSD sul pensiero creativo e la possibilità che la psilocibina possa essere d'aiuto nell'alleviare i sintomi della depressione, consentendo ai pazienti di cambiare i loro modelli rigidamente pessimistici di pensiero. Tentativi di sfruttare le sostanze psichedeliche a fini terapeutici erano stati effettuati già negli anni cinquanta e sessanta, ma ora stiamo finalmente cominciando a capire la loro azione sul cervello e come eventualmente farne un buon uso.

[La foto in apertura è di Gianluca u-JU ]

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