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Cosa ci fa la Cina sulla Luna?

Erano quasi quarant’anni che qualcosa di umano non toccava la superficie lunare: perché allora tornarci?
A cura di Nadia Vitali
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Se lo saranno chiesti in molti: a che pro solcare ancora una volta lo spoglio suolo del nostro argenteo Satellite, dal momento che l'epoca delle missioni lunari sembrava già essere tramontata ormai da diversi decenni? In effetti sono trascorsi già 37 anni dall'ultimo approccio umano alle terre di Selene e, da allora, si sono anche esaurite in parte le spinte motivazionali di natura strettamente politica che spinsero i cosmonauti sovietici e statunitensi a partire alla volta della Luna: non dimentichiamo, infatti, come il primo allunaggio americano mirava anche ad essere una risposta inequivocabile allo smacco subito dalla Russia, quando lo Sputnik portò il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin.

Di tempo ne è passato da allora e oggi la Luna sembra un po' più lontana non soltanto dall'America ma anche, in generale, dalle prospettive spaziali del mondo occidentale: molto abbiamo conosciuto a proposito del nostro unico Satellite, ma ormai gli occhi sono tutti puntati su Marte ed è anche legittimo che sia così, dal momento che non avrebbe avuto alcun senso fermare l'esplorazione dietro l'angolo di casa. Ma sarebbe del tutto corretto pensare che sia finita anche l'era delle grandi rivalità tra le superpotenze? Probabilmente no e in questa prospettiva è più facile comprendere le ragioni della missione cinese approdata due giorni or sono: pochi anni a disposizione hanno consentito al colosso asiatico di recuperare una parte del "ritardo" rispetto agli Stati Uniti e l'annuncio di voler inviare un equipaggio sulla Luna tra il 2020 e il 2030 è stato ripetuto più volte negli ultimi anni. Al punto che è comprensibile come l'ipotesi non riscuota esattamente l'entusiasmo della NASA che, all'idea di una stazione permanente sulla Luna made in China, verrebbe a trovarsi nella scomoda situazione di dover replicare in qualche modo.

Ma, dato che quella data è per il momento ancora lontana, sarebbe lecito chiedersi cosa sta accadendo in questo momento sul suolo lunare, dopotutto. Il lander Yutu – 120 chilogrammi di tecnologia per un robot che può scalare alture con pendenza fino al 30% e viaggiare fino alla velocità di 200 chilometri orari – si occuperà di sondare e conoscere la struttura geologica della Luna, andando in cerca di eventuali risorse: niente che in parte non sia già stato fatto in passato e che non sia noto da tempo alla comunità scientifica. Già sappiamo, ad esempio, come alcuni depositi di ghiaccio d'acqua potrebbero fornire una riserva autonoma ad una eventuale base sul posto; e i campioni di suolo riportati sulla Terra dagli astronauti delle precedenti missioni sono stati già abbondantemente sottoposti agli esami di prassi, utili a conoscerne origine e conformazione; inoltre i sismografi posizionati dalle missioni Apollo hanno consentito di stabilire entità e frequenza dei terremoti su quel Satellite che, visto da noi, sembra sempre immobile e mansueto. Insomma, è ragionevole pensare, al momento, che la Luna abbia pochi segreti da svelarci ancora.

Quindi cosa è previsto che faccia il "coniglio di Giada" (questo il significato del nome del lander, di origine mitologica) lanciato lo scorso 2 dicembre sulla sonda spaziale Chang' e-3 e posatosi morbidamente appena 48 ore fa? Al momento è facile intuire che, grazie ai suoi radar e alla sua raffinata strumentazione, si dedicherà ad un programma di esplorazione con l'obiettivo di raccogliere ed inviare dati relativi alla superficie della Luna ma anche a quello che si trova nel sottosuolo; la durata della missione sarà di tre mesi, seguirà un secondo approccio nel 2017. Insomma, se è realistica la previsione di un equipaggio umano entro il prossimo decennio, è verosimile pensare che la Cina stia letteralmente "sondando il terreno". Ma non solo.

Dalla missione, infatti, deriva anche grande orgoglio nazionale nonché la evidente dimostrazione sotto gli occhi del mondo del crescente potere economico della Cina che si riflette anche nelle missioni spaziali: insomma, niente di nuovo sotto al cielo. Del resto Pechino sta anche lavorando ad un altro progetto non meno ambizioso che prevede la messa a punto di una stazione spaziale internazionale alternativa che dovrebbe essere in orbita dal 2022 e per il decennio successivo: come non ricordare, dunque, l'altro primato del programma spaziale sovietico che fu la MIR? Tuttavia – dimostrazioni di ego a parte – non c'è ragione di dubitare dell'apporto scientifico e tecnologico che la missione cinese potrà dare a tutta la comunità: dunque, non resta che aspettare per conoscere cosa di nuovo avrà da dirci il Coniglio di Giada.

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