Alla ricerca di tracce aliene sulla Luna
Nel film-cult di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio, ispirato al racconto di Arthur C. Clarke La sentinella, veniva ritrovato sulla Luna un grande monolite nero, di chiara fattura intelligente. Un indizio che, da qualche parte nell’universo, una civiltà extraterrestre aveva visitato il nostro sistema solare. Qualcosa del genere, magari anche meno vistosa, foss’anche una lattina di Coca-cola di Aldebaran, è quel che suggeriscono di cercare due eminenti scienziati attraverso l’analisi delle foto della superficie lunare raccolte nel corso degli anni dal potentissimo mirino del Lunar Reconaissance Orbiter, la sonda NASA in orbita intorno al nostro satellite naturale dal 2009.
In cerca del monolite nero
Il primo è Paul Davies, astrofisico che non ha bisogno di molte presentazioni, vista la mole di libri divulgativi di grandissimo successo pubblicati anche in Italia, e la lunga attività nel campo della ricerca di vita extraterrestre; il secondo è Robert Wagner, giovane ricercatore della School of Earth and Space Exploration dell’Università dell’Arizona. La loro proposta è stata pubblicata sugli Acta Astronautica, la principale rivista americana dedicata allo spazio. “Sebbene ci sia solo una minuscola probabilità che tecnologia aliena abbia lasciato tracce sulla Luna sotto forma di artefatti o modifiche alla struttura lunare superficiale, questa location ha il pregio di essere vicina e di preservare eventuali tracce per una durata immensa”, sostengono i due scienziati. Ma poiché la scansione delle immagini in cerca di eventuali tracce extraterrestri non richiede costi, se non in termine di tempo impiegato, anche la minima probabilità dovrebbe essere presa in considerazione.
Il vantaggio offerto dalla Luna è evidente. La Luna è un corpo geologicamente morto, ed essendo priva di atmosfera può preservare per un lunghissimo lasso di tempo qualsiasi tracce lasciata da fattori esterni. Le impronte degli astronauti delle diverse missioni Apollo succedutesi tra il 1969 e il 1972 sono ancora lì, così come i segni dei cingolati dei rover guidati dagli astronauti sulla superficie lunare. Il sismografo montato nella missione Apollo 12 ha verificato che per ogni 350 chilometri quadrati avviene in media un impatto di asteroide della grandezza di un acino d’uva ogni mese: e questo è l’unico tipo di evento che può modificare la superficie lunare. L’epoca dei grandi impatti meteorici che hanno segnato per sempre la faccia della Luna è da tempo finita. Secondo le stime di Davies e Wagner, occorrerebbero alcune centinaia di milioni di anni per sotterrare sotto la polvere e la sabbia sollevata da questi impatti un oggetto della grandezza di una decina di metri.
Un archivio fotografico lunare
L’idea è di utilizzare per la ricerca le foto acquisite del Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA, che ha fino a oggi mappata circa un quarto della superficie della Luna ad alta risoluzione. Tra queste immagini sono già state tirate fuori quelle che mostrano, per esempio, i siti degli allunaggi dell’Apollo e tutti i pezzi di rover e satelliti precipitati inviati dagli americani e dai sovietici nel corso degli anni. Sono circa 340.000 le immagini rese pubbliche dalla NASA, una cifra destinata a crescere fino a raggiungere il milione quando sarà stata mappata l’intera superficie, intorno al 2014. “Dati i numeri, è ovvio che una ricerca manuale da parte di un piccolo gruppo è senza speranze”, riconoscono gli studiosi. Una soluzione potrebbe venire dall’informatica. Wagner, che è anche un esperto informatico, sta lavorando a un software capace di effettuare una scansione delle immagini e di individuare, tramite appositi algoritmi, tracce di strutture che possono suscitare qualche sospetto sulla loro natura: pannelli solari o contorni di edifici, per fare qualche fantasioso esempio. Roba del genere resterebbe visibile per milioni di anni dopo la loro costruzione, grazie ai lentissimi mutamenti morfologici della Luna.
Altrimenti, non resta che affidarsi a soluzioni del tipo SETI@home: così si chiama il celebre programma che, per abbattere i costi, distribuisce a decina di migliaia di utenti in tutto il mondo “pacchetti” di dati acquisiti dai radiotelescopi, lasciando ai loro calcolatori l’onere di analizzarli in cerca di segnali di possibile origine intelligente. Tramite SETI@home è stato possibile far sopravvivere il celebre progetto di ricerca di radiosegnali prodotti da civiltà extraterrestri, costretto a fare periodicamente i conti con tagli di fondi: oggi si basa esclusivamente su sovvenzioni e donazioni dei privati. Analogamente, si potrebbero inviare a decine di migliaia di utenti pacchetti di immagini da analizzare con i propri occhi. I rischi, in questo caso, non sono pochi: qualcosa di importante potrebbe sfuggire (anche se ciascuna immagine verrebbe inviata in copia a non meno di un centinaio di persone, per sicurezza), ma soprattutto, affidandosi ad “amatori”, è forte il rischio contrario. Che qualcuno, cioè, veda qualcosa che non c’è. I casi di presunti avvistamenti su Marte hanno fatto scuola. Sulla superficie marziana, analizzando le immagini – spesso a bassa risoluzione – acquisite dalle diverse spedizioni di sonde, la gente ha visto di tutto: piramidi, sfingi, facce umane, statue, edifici, basi militari e chi più ne ha più ne metta. È vero che il suolo lunare offre assai meno appigli alla fantasia. Ma se l’immaginazione umana è capace di scorgere forme singolari anche nelle nuvole, il rischio di prendere fischi per fiaschi è notevole.
Cosa cercare sulla Luna
Ma cosa cercare, esattamente? L’artefatto più semplice, spiegano i due scienziati, sarebbe probabilmente un messaggio lasciato intenzionalmente. Non tanto una grossa scritta del tipo “Ehi, siamo qui” che possiamo leggere dal cielo, quanto una capsula costruita in un materiale altamente resistente, apribile da una qualsiasi forma di vita intelligente e abbandonata magari in uno dei crateri più recenti, come il grande cratere Tycho, sugli altipiani meridionali della Luna. Messaggi pensati per durare più a lungo potrebbero essere stati sepolti in profondità, ma collegati a trasmettitori capaci di penetrare la superficie lunare: un po’ come una “X” su una mappa del tesoro, per indicare il punto dove scavare. Ancora meglio, intelligenze extraterrestri potrebbero aver installato sulla Luna, in tempi remoti, delle vere e proprie basi, magari sfruttando i tunnel di lava ancora esistenti sotto le pianure di basalto. Si tratta di habitat ideali, perché offrono un ottimo riparo dalle radiazioni cosmiche che sulla Luna non vengono bloccate dall’atmosfera, di fatto inesistente. Eventuali colonie lunari passate o future dovrebbero tenere conto del riparo che questi tunnel, presenti sulla Luna come su qualsiasi corpo celeste che abbia avuto attività vulcanica, posso offrire.
In realtà, ci basterebbe anche trovare tracce di spazzatura aliena. Certo, se gli extraterrestri sono soltanto un po’ più intelligenti di noi, avranno avuto il buon gusto di non lasciare pessimi ricordini sui pianeti visitati. Da tempo, le agenzie spaziali mondiali adottano un principio di non contaminazione, in base al quale qualsiasi visita umana e non umana su corpi celesti esterni alla Terra deve essere quanto meno possibile “impattante”. Le sonde che scendono sui pianeti devono essere sterilizzate per evitare di invadere con microrganismi terrestri potenziali ecosistemi autoctoni. Una futura missione umana su Marte avrà cura di non lasciare in giro cartacce o lattine di birra. Tuttavia, qualcosa deve pur sempre rimanere. Non possiamo portarci a casa i rover marziani o lunari, per dirne una, cosicché quando la loro missione è finita essi restano lì, immobili. Se una sonda aliena avesse visitato la Luna, potrebbe essere rimasta abbandonata sulla sua superficie. È vero che il nostro satellite è piccolo e privo di nascondigli significativi; ma trovare una di queste tracce è come cercare un ago in un pagliaio. Ciò nonostante, qualcosa sarà tentato: sarebbe davvero comodo trovare un segno di vita extraterrestre dietro l’angolo, anche se magari gli alieni erano giunti solo in visita cento milioni di anni fa per un pic-nic con vista sulla Terra.